Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

in questa rubrica si continuano a strapazzare i palestinesi fino a negare la loro identità e a chiamarli palestinisti (perché la differenza fra palestinese e palestinista è la stessa che c’è fra comunale e comunista, fra milanese e milanista, fra nazionale e nazionalista, cioè fra una condizione di fatto e una posizione ideologica). E’ vero che questa rubrica la scrivo io e quindi ne sono responsabile, ma oggi voglio scusarmi – in un certo senso. Ecco, oggi lo devo ammettere, la Palestina esiste, e non da oggi, almeno da un secolo. Ne ho le prove. Per esempio devo ammettere che ho trovato traccia dell’esistenza di un’orchestra sinfonica, di valore internazionale (non la fuffa di Barenboim), fondata nel 1936, che portava il nome di “Palestine Symphony Orchestra”.  Ho visto poi le foto di certe copie del giornale in lingua inglese di Gerusalemme, fondato a quanto pare ancora prima dell’orchestra, nel 1932, nella cui testata si leggeva “The Palestine Post” (e anche di un altro giornale, questa volta in America) che aveva nome “New Palestine”. Ho notizie di banca, fondata addirittura nel 1902 col nome di “Anglo-Palestine Bank”. Devo citare anche una organizzazione di fund raising chiamata “United Palestine Appeal” e anche “The Palestine Electricity, Corporation Limited”, fondata nel 1923. Insomma le prove ci sono, eccome: la Palestina ha una storia, eccome. Queste cose finora ve le ho tenute colpevolmente nascoste, ma come negare l’evidenza? Si potrebbero citare moltissimi altri casi: non vi è dubbio che nella prima metà del Novecento, soprattutto fra il 1920 e il 1948 il nome Palestina e l’aggettivo palestinese fossero frequenti e significativi, a partire dall’entità politica che  controllava quel territorio, il “Mandato di Palestina” esercitato da Sua Maestà Britannica.  Tante scuse, dunque ai palestinesi. Mi pento: viva la Palestina, quella Palestina. E però come dice anche Dante, forse citando Giustiniano (Vita Nuova XIII, 4 ), “nomina sunt consequentia rerum”, “con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose “; ma qualche volta non è cosa, e i nomi ingannano. Insomma, è meglio guardare le cose. E le persone, naturalmente. Bene, facciamolo anche con la nostra Palestina. Sapete come si chiama oggi l’ “Anglo-Palestine Bank”? Ecco: Bank Leumì, ha sede a Tel Aviv ed è la più grande banca israeliana. Be’, direte voi, questa è una prova del carattere imperialista di Israele, non si è fregato solo la terra ma anche le banche. Sarebbe bello dirlo, almeno dal punto di vista palestinista.  E però, mi spiace, ma non funziona. Perché la banca in questione fu fondata nel 1899 a Londra in seguito a una decisione del secondo congresso sionista e fin dalla fondazione è stata l’organo finanziario del movimento (http://en.wikipedia.org/wiki/Bank_Leumi). Nessuno l’ha rubata, quand’era palestinese era sionista. Che strano, eh?

E la “Palestine Symphony Orchestra”? In fondo un’orchestra sinfonica è meno importante di una banca, ma ha un che di simbolico, quasi di magico…  Bene, oggi si chiama Israel Philarmonic Orchestra, è famosa nel mondo. Anche qui, nessun furto o combattimento,  è stata sempre composta da orchestrali ebrei (che fra gli esuli russi abbondavano ed erano di grandissima qualità musicale). Anch’essa, era palestinese perché ebrea, non il contrario. (http://it.wikipedia.org/wiki/Israel_Philharmonic_Orchestra). E così l’azienda elettrica (http://en.wikipedia.org/wiki/Israel_Electric_Corporation), quel quotidiano che oggi è il “Jerusalem Post” di orientamento sionista, l’attuale “United Jewish Appeal” che è il ramo locale del Joint Distribution Committee,  l’organismo che ha fatto tanto per soccorrere gli ebrei in difficoltà nel mondo. Perfino l’Agenzia ebraica, la mitica Sochnut che fece le veci dello Stato come organo amministrativo fino al ’48 e poi si fece carico dell’immigrazione e ancora si occupa di questo, perfino questo organo centrale dell’insediamento ebraico si chiamava fino al 1948 ““Jewish Agency for Palestine.” ( http://www.mythsandfacts.org/article_view.asp?articleID=278). Tutti palestinesi, tutti ebrei e sionisti. Che strano, eh?

Insomma, nel regno delle parole i palestinesi c’erano, ma nel regno delle “nominate cose” erano ebrei e sionisti. E gli arabi? Non c’erano? Sì che c’erano, solo che dicevano di NON essere palestinesi. Leggete qui: “I politici degli Stati arabi erano netti su questo argomento: «consideriamo la Palestina parte della Siria araba, dalla quale non si è mai distaccato in alcun momento. Siamo connessi ad essa da legami nazionali, religiosi, linguistici, naturali, economici e geografici» (I Congresso dell’Associazione cristiano-musulmana, febbraio 1919). Il rappresentante dell’Alto Comitato arabo presso le Nazioni Unite sottopose all’Assemblea Generale dell’ONU a maggio 1947 la seguente affermazione: «la Palestina è parte della provincia siriana», e «politicamente, gli arabi di Palestina non sono indipendenti, nel senso di formare un’entità politica separata». Nel 1937 un leader arabo locale, Auni Bey Abdul-Hadi, riferì alla Commissione Peel, che in ultima analisi suggerì la partizione della Palestina: «non esiste alcuno stato chiamato Palestina! la “Palestina” è un termine inventato dai sionisti! non esiste alcuna Palestina nella Bibbia. Per secoli la nostra patria è stata la Siria». E ancora: «Palestina e Transgiordania sono una cosa sola» (Re Abdullah, riunione della Lega Araba al Cairo, 12 aprile 1948).” (http://ilborghesino.blogspot.it/2014/02/il-popolo-inventato.html)

Anche qui, le citazioni si potrebbero moltiplicare. Ma queste mi sembrano sufficienti a illustrare il paradosso: è vero, la Palestina e i palestinesi non sono un’invenzione, ci sono da tempo (diciamo da un secolo o due, che da quelle parti non è molto, con qualche precedente duemila anni fa, sempre nel regno delle parole). Solo che erano gli immigranti europei, che usavano un nome geografico europeo adottato più o meno dai tempi di Napoleone. E prima? Per i cristiani quella era Terrasanta, era lì che si facevano le crociate e i pellegrinaggi, non in “Palestina”. Trovate un testo medievale o un brano del Vangelo che parli di Palestina. Per gli arabi, era la Siria meridionale. E per gli ebrei era “haAretz”, la terra o il paese, per antonomasia, “Artzenu”, la nostra terra, “Eretz Israel”, la terra di Israele.

E com’è che si è creata questa buffa inversione, per cui gli arabi pretendono di avare il nome che gli europei davano alle istituzioni e alle persone ebraiche insediate laggiù? La faccenda è semplice, merito o colpa di David Ben Gurion. Fu lui a voler assegnare al nuovo stato il nome dell’antico regno e ancor prima del progenitore comune del popolo ebraico (Israele è il nome che l’angelo attribuisce a Giacobbe dopo la loro lotta notturna, nel libro della Genesi, “perché hai lottato con Dio e con gli uomini e hai prevalso”). Nella Bibbia gli ebrei sono “figli di Israele” e ancora oggi “Israel” nel linguaggio liturgico è il nome degli ebrei comuni (quelli che non discendono da leviti e sacerdoti). Ben Gurion voleva dare il segno che il nuovo Stato era la prosecuzione di un antico destino ed era  comune a tutto il popolo ebraico, aperto a tutte le sue tendenze. Ma questa scelta di nome, che si estese rapidamente a tutte le istituzioni “palestinesi”, giornali, banche, industrie, comitati, senza cambiare nulla nel regno delle cose, lasciò scoperto e senza padrone nel regno dei nomi quello della Palestina, con cui gli arabi iniziarono a definirsi dopo gli anni Sessanta, alla ricerca di una ragiuone propagandistica per identificarsi come padroni della terra.

E’ una costruzione artificiale, come sanno benissimo gli stessi arabi. Ha detto Arafat nel 1993, in piena epoca di Oslo: “La questione dei confini non ci interessa. Da una prospettiva araba, non dobbiamo parlare di confini. La Palestina non è che una goccia nell’oceano. La nostra nazione è la Nazione Araba, che si allunga dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso e oltre. L’OLP combatte Israele in nome del panarabismo.” (http://ilborghesino.blogspot.it/2014/02/il-popolo-inventato.html). 
Quanto cinquant’anni di propaganda siano riusciti a incidere nella coscienza collettiva e a dare corpo al fantasma linguistico della “Palestina” resta da vedere. Probabilmente il discorso di Arafat è ancora vero e le radici nazionali della Palestina sono un’invenzione europea, anche perché le famiglie e le tribù, che sono fondamentali nell’impianto culturale arabo, ricordano benissimo le loro origini e ci tengono, come vi ho raccontato a proposito delle invenzioni storiche di Erekat.

Resta il fatto, che è verissimo ancora oggi, che la “Palestina” innanzitutto combatte CONTRO Israele molto più che PER se stessa. E poi che lo fa in nome del “mondo arabo”, che anche in questi tempi di aspre divisioni è cosa più solida delle pretese nazioni tracciate dai colonialisti. Tant’è vero che nei momenti cruciali Abbas, come Arafat prima di lui, va a rapporto dalla Lega Araba e ne accetta le decisioni. Dunque la loro Palestina è un maquillage linguistico pronto a squagliarsi al momento buono nel grande fiume della “nazione araba”. Abbandonata dagli ebrei, lo sarebbe anche dagli arabi, nel caso sempre più improbabile e disgraziato che si realizzassero i loro sogni di gloria. Un giusto destino per un nome imposto dai Romani all’antica Giudea verso l’anno 130 della nostra era per punire l’ennesima rivolta ebraica contro il loro dominio imperialista.

(art. tratto da informazionecorretta)