DI Valerio Morabito

Passano le stagioni, ma il pregiudizio non abbandona l’Europa – «Di passaggio a Fiumicino sento due turisti dire, sfogliando un giornale: “Fra guerre e attentati non si parla che di ebrei, che scocciatori”. È vero, siamo dei rompiscatole, sono secoli che rompiamo le balle all’universo. Che volete. Fa parte della nostra natura». Con questa frase provocatoria Herbert Pagani, nel 1975 introduceva “Arringa per la mia terra”. Un monologo che criticava la curiosa mozione dell’Onu, la quale paragonava il sionismo al razzismo. Gli anni passano, ma il pregiudizio nei confronti del popolo ebraico rimane. Sta lì, pronto a mostrarsi a fase alterne e in ogni settore della società. Lo trovi nella comicità francese, nei campi di calcio, nelle affermazioni di alcuni politici, nell’atteggiamento del signore o della ragazza che si trova vicino a te sul treno. E’ un germe, un virus invisibile da cui il vecchio continente, in particolar modo, non è mai riuscito a guarire. Sono cambiate le dominazioni, si è conclusa l’egemonia medievale della chiesa cattolica, è calato il sipario sui nazionalismi ottocenteschi e sulle dittature del Novecento, ma la diffidenza verso l’ebreo e il suo modo di vivere, di guardare il mondo è sempre motivo di odio e violenza. «Nell’ultimo periodo c’è stato un incremento di aliyah» – Ad agosto il settimanale americano “Newsweek” aveva denunciato l’antisemitismo europeo nei giorni della guerra di Gaza. Un reportage che aveva fatto il giro del mondo. Parole e foto in grado di impressionare. Si, perché quando si leggeva «morte agli ebrei» e nei servizi dei telegiornali si assisteva alle manifestazioni in cui si urlavano slogan antiebraici, c’era l’impressione di essere tornati indietro nel tempo. Invece è accaduto oggi, nel nuovo millennio. Nell’epoca della globalizzazione e dei tecnologici mezzi di informazione. Stephen Kramer, dell’America Jewish Committee, ha ribadito che «in Europa la minoranza ebraica non è più al sicuro».

La stessa aria si respira in Italia. A confermalo è una donna ebrea di Roma, che per questioni di privacy preferisce rimanere anonima: «Molte persone che conosco sono preoccupate per il clima che sta prendendo piede in Europa e nell’ultimo periodo c’è stato un incremento di aliyah», ovvero l’immigrazione ebraica nella terra di Israele. Se per mangiare una pizza serve la sicurezza – Un profondo mutamento sociale sta avvenendo sotto i nostri occhi e non riusciamo ad accorgerci di nulla? Probabilmente è così. Le donne e gli uomini della Comunità ebraica di Roma, e in generale di tutto il Paese, devono pensare ogni giorno alla loro sicurezza. L’incolumità, se si è ebrei, non è scontata. Questa signora romana racconta la presenza della camionette delle forze dell’ordine nella zona ebraica, «che presidiano l’entrata al ghetto e alla Sinagoga. Ormai fanno parte del paesaggio, però a rifletterci bene, è agghiacciante debbano esserci». Anche per mangiare una pizza, per esempio, gli ebrei romani sono costretti a contattare la sicurezza della comunità, che deve presidiare la serata. Nell’ultimo periodo, infatti, succede che ebrei, simpatizzanti e appassionati di Israele si incontrino per stare insieme e manifestare in maniera pacifica e allegra la loro solidarietà allo Stato mediorientale, tramite l’evento “Pizza for Israel”. Ecco, in questo caso il ristorante deve essere controllato. «Internet ha grosse responsabilità» – Gli ebrei si sono insediati in Italia da molti secoli. Hanno partecipato e partecipano alla vita pubblica e sociale della nazione. Alcuni di loro si sono contraddistinti in vari campi, eppure, racconta l’interlocutrice, «ancora oggi tocca difendersi dall’ignoranza di chi ti vede come uno straniero». A volte «dobbiamo replicare a certi politicanti che si svegliano la mattina e decidono che i tuoi riti, come la circoncisione e la kasherut, dovrebbero essere vietati». Il clima non è ottimo, anzi è peggiorato e una delle cause è la crisi economica, «che ha portato a una tale esasperazione che bisogna per forza trovare un colpevole e da sempre l’ebreo è il capro espiatorio perfetto». Già, e non è un discorso di destra o sinistra. L’antisemitismo è bipartisan, trasversale e non si annida soltanto nelle frange estreme dei diversi movimenti. Pier Paolo Pasolini, a tal proposito, era stato sin troppo esplicito in tempi non sospetti. Una questione mai risolta e in questo non possono giungere in soccorso le rinnovate tecnologie comunicative: «Internet – afferma la donna di Roma – ha grosse responsabilità, perché se da una parte rappresenta una grande finestra sul mondo, dall’altra ha dato il via libera a un fenomeno difficilmente arginabile, quello della diffusione di pagine che dispensano odio e pregiudizi a profusione. E, ahimè, sono molto seguite». E’ normale, in un contesto del genere, che gli ebrei italiani riflettano se sia meglio emigrare.

Hanno già sofferto molto in passato e il ricordo della Shoah è sempre vivo. «I giovani – sottolinea la donna – sono sensibilizzati fin da piccoli su ciò che ha significato la Shoah, anche perché molti fanno parte di famiglie che sono state decimate». Soprattutto per un simile motivo, assistere alla riedizione di vecchi slogan e gesti violenti è qualcosa di inaccettabile, incomprensibile.

( Art. tratto da blogtaormina.it )