Definire moderato Abu Mazen è l’equivalente in diplomazia dell’affermare che Elvis Presley è ancora vivo

Di Michael Freund

Negli ultimi dieci anni, da quando nel gennaio 2005 Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha preso le redini dell’Autorità Palestinese, la comunità internazionale ha fatto di tutto per dipingerlo come un moderato. Ignorando il suo lungo curriculum di istigatore anti-Israele e di negazionista della Shoà, presidenti americani, primi ministri europei e anche diversi leader israeliani hanno spesso parlato di Abu Mazen in termini entusiastici, descrivendolo come un idealista e un uomo di pace. Lo scorso 17 marzo, quando Abu Mazen è stato ricevuto alla Casa Bianca, il presidente americano Barack Obama ha detto ai giornalisti: “Devo complimentarmi con il presidente Abu Mazen, un uomo che ha sempre coerentemente rifiutato la violenza, che ha sempre cercato una soluzione diplomatica e pacifica che permetta a due stati, fianco a fianco, di vivere in pace e sicurezza”. Più di recente, in occasione della conferenza dei donatori per Gaza tenutasi al Cairo il 12 ottobre, il Segretario di stato John Kerry si è sperticato in elogi per il capo palestinese dicendo: “Presidente Abu Mazen, grazie per la vostra perseveranza e la vostra collaborazione”. Ma la maschera è caduta. Il comportamento di Abu Mazen e le sue recenti esternazioni anti-israeliane dimostrano chiaramente che la sua apparente moderazione non è altro che una frottola. Definire moderato Abu Mazen è l’equivalente, in diplomazia, dell’affermare che Elvis Presley è ancora vivo e che l’uomo nero si nasconde sotto al letto. Si prendano, ad esempio, le dichiarazioni a dir poco smodate fatte da Abu Mazen venerdì scorso a un raduno del partito Fatah. Riferendosi agli ebrei che desiderano visitare il Monte del Tempio di Gerusalemme, il luogo più sacro del giudaismo, Abu Mazen li ha definiti “coloni” e “mandrie di bestiame”, e ha esortato i palestinesi a usare “ogni mezzo” per fermarli. “Non basta dire che arrivano i coloni – ha proclamato – bisogna impedire loro di entrare nel complesso (del Monte del Tempio) con qualsiasi mezzo. E’ la nostra al-Aqsa e loro non hanno alcun diritto di entrare e profanarla”. Per Abu Mazen, evidentemente, la presenza stessa di ebrei sulla spianata dove un tempo sorgeva il loro Tempio costituisce un abominio. Se questo non è un invito alla violenza, che cosa lo è? Inutile dire che il vergognoso sfogo di Abu Mazen non è caduto nel vuoto. Meno di 48 ore più tardi, dei teppisti palestinesi deturpavano il Monte del Tempio scarabocchiando svastiche e altre offensive immagini antisemite nel sito la cui santità sostengono di voler tutelare. Puntuale, poi, è arrivato l’attentato di mercoledì costato la vita a una bambina ebrea di 3 mesi. Commentando le parole del presidente palestinese, il ministro degli esteri israeliano Avigdor Liberman ha giustamente osservato che Abu Mazen sta “cercando di incendiare la situazione sfruttando il luogo più sensibile, il Monte del Tempio”. “Sotto il doppiopetto e la bonomia rivolti alla comunità internazionale – ha detto Liberman – Abu Mazen alimenta l’istigazione all’odio contro Israele e gli ebrei, e invoca una guerra di religione. Abu Mazen si è di fatto schierato con le organizzazioni islamiste estremiste, come l’ISIS e il fronte al-Nusra, che santificano la guerra di religione”. Prima di alzare gli occhi al cielo per il paragone, si ricordi che agli inizi di giugno Abu Mazen ha varato un governo unitario con Hamas, un’organizzazione jihadista non meno estremista nell’ideologia e nei metodi (e giudicata terroristica non solo da Israele, ma anche da Stati Uniti, Canada, Unione Europea, Giappone, Australia e altri). Il presidente palestinese continua a presiedere un governo che include la stessa organizzazione che ha sparato migliaia di razzi contro i civili israeliani e che costruisce tunnel sotto la frontiera per uccidere civili innocenti. Poi, naturalmente, c’è la performance di Abu Mazen il mese scorso alle Nazioni Unite, quando si è prodotto in un’odiosa intemerata contro Israele davanti all’Assemblea Generale. Il “ragionevole” Abu Mazen ha denigrato la creazione dello stato ebraico nel 1948 come un atto di “ingiustizia storica” e ha definito Israele “lo stato razzista occupante” accusandolo di “crimini di guerra”, “genocidio” e “terrorismo” contro palestinesi. Tutto questo da un uomo che ha più volte insistito sul fatto che, se dovesse mai sorgere uno stato palestinese, a nessun ebreo sarà permesso viverci. Sarebbe ora che Israele e Occidente la smettessero di farsi illusioni circa la vera natura di Abu Mazen. L’uomo che ha ripetutamente respinto concrete proposte di pace non porta la kefiah di Yasser Arafat, e non esibisce la pistola nell’aula delle Nazioni Unite come faceva quello, ma i contenuti rimangono gli stessi, e sarebbe ora di prenderne atto.

(tratto da israele.net)