Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici, se voi siete, come un po’ tutti, stanchi e diffidenti per le lentezze della giustizia italiana, la storia che vi racconto oggi dovrebbe consolarvi, perché è una disputa intorno al dettaglio di un documento che dura da 12 anni e passa, non dalle parti di Napoli o di Verona, ma a Whashington DC – USA. Se poi siete anche interessati alle sorti di Israele, troverete in essa motivi di riflessione e purtroppo anche di preoccupazione. Partiamo di qui: il 17 ottobre 2002 nasce a Gerusalemme da genitori che hanno anche la cittadinanza americana un bambino di nome Menachem Binyamin Zivotofsky . Dato che un passaporto americano può essere prezioso per molte cose, magari anche per attaccamento al “paese del patto” (questo è il nome degli Stati Uniti in ebraico), i genitori chiedono subito il rilascio di un passaporto USA per il bambino, diritto riconosciuto dalla legislazione americana in questi casi. E lo ottengono. Sennonché ha un difetto: non indica il paese di nascita del bambino. Al posto di “nato in Israele” si legge solo “nato in Gerusalemme”. Conta? Mah, per chi è fiero della propria doppia cittadinanza sì, può contare. Fatto sta che i genitori protestano. Dunque i signori Zivotofsky protestano e chiedono la rettifica. Il consolato rifiuta. Infatti spiegano alla coppia che nel “State Department’s Foreign Affairs Manual” si dice che “nel caso in cui il luogo di nascita di chi fa domanda è contestato da un altro stato, si può scrivere [invece dello stato] la città o l’area di nascita” e che specificamente “nel caso di una persona nata a Gerusalemme si deve scrivere solo ‘Gerusalemme’ e non Israele o Giordania.” Interessante, no? Si parla di Giordania e non di “Palestina. E la mancata cittadinanza non è in alcun modo limitata a “Gerusalemme est”, ma riguarda anche il lato della città a ovest della linea verde, dove è nato (all’ospedale Shaare Zekek) Menachem Binjamin. Il che mostra che vi è una politica americana costante (nel 2002 il presidente era Bush) di non riconoscere Gerusalemme (neanche la cosiddetta Gerusalemme ovest) non solo come capitale di Israele ma come appartenente allo stato: “Since the United States recognized the state of Israel in 1948, the executive branch has remained neutral on whether Jerusalem is part of Israel.” [“Da quando gli Stati Uniti hanno riconosciuto lo stato di Israele nel 1948, il potere esecutivo è rismasto neutrale sul problema se Gerusalemme sia parte di Israele”: http://www.law.cornell.edu/supct/cert/10-699 ] . Cioè: la linea verde va bene secondo il Dipartimento di Stato per stabilire i “diritti” dei “palestinesi”, che pure non hanno la minima base giuridica, ma non determinano affatto i diritti di Israele. Questa è una politica assolutamente sbilanciata (http://www.commentarymagazine.com/2014/11/07/an-unbalanced-view-of-the-zivotofsky-case-jerusalem-passport/ ) che continua ad essere difesa, vedremo poi fino a che punto. I Zivotofsky però non si arrendono e chiamano a giudizio il Dipartimento di Stato. Esiste infatti una legge passata al congresso americano subito prima della nascita di Menachem ( Foreign Relations Authorization Act, Fiscal Year 2003, 116 Stat. 1350, Section 214) in cui si stabilisce che “per quanto riguarda i certificati di nascita, le attestazioni di nazionalità e i passaporti di cittadini americani nati a Gerusalemme, il Segretario di Stato registrerà, su richiesta dei genitori del neonato la nascita come avvenuta in Israele” (http://en.wikipedia.org/wiki/Zivotofsky_v._Clinton ). Sembra fatta apposta, no? In un paese come l’Italia e in genere in Europa, dove esiste la gerarchia delle fonti del diritto per cui una legge prevale su qualunque regolamento, non ci sarebbero problemi. Ma la costituzione americana è più complessa, presidenziale e non parlamentare, esiste il “privilegio dell’esecutivo” che esclude da certi campi l’intervento del potere legislativo. Dunque si va davanti a un tribunale, quello del distretto federale, che prima rifiuta di intervenire dicendo che la materia è politica, poi viene smentito in appello. La questione ritorna davanti al giudice di primo grado che continua a rifiutare l’applicazione della legge ai Zivotofsky, che alla fine – questa primavera -ricorrono alla Corte Suprema. La quale, diversamente che in Italia, può decidere se vuole o no entrare nel merito della causa e scegli per il sì, con questa bella analisi che trovate qui (http://www.supremecourt.gov/opinions/11pdf/10-699.pdf ). La faccenda non è politica, decidono i giudici supremi, è di diritto costituzionale, non si tratta di stabilire la posizione politica dell’America, ma la possibilità del Congresso di dare regole sui passaporti e dunque se ne deve discutere, il che avviene in questi giorni. E qui siamo arrivati. C’è stata la discussione davanti alla Corte Suprema in cui è avvenuto un episodio interessante. Messo alle strette nella discussione, il “General Solecitor” Verrilli, cioè quello che in Italia sarebbe il rappresentante dell’avvocatura dello stato, chiamata a difendere le posizioni dell’esecutivo, ha detto che “la politica dell’esecutivo è che noi riconosciamo IN QUESTIONI PRATICHE [cioè non in linea di principio, non de iure] l’autorità di Israele su Gerusalemme Ovest […] rispetto al resto di Gerusalemme, la questione è molto più complicata [… ma] se noi domani incominciassimo a rilasciare dei passaporti a chi è nato in Crimea, identificandoli come nati in Russia, questo comporterebbe ovvie implicazioni rispetto alla nostra politica estera e la contraddirebbe in maniera disastrosa.” (http://freebeacon.com/national-security/solicitor-general-israel-has-no-claim-to-jerusalem-just-as-russia-has-no-claim-to-crimea/ ) Capite, per l’Amministrazione Obama Gerusalemme OVEST è come la Crimea, occupata illegalmente e con la forza delle armi da Putin. Bisognerà vedere se la Corte Suprema si berrà questa storia e in genere se condividerà l’idea che c’è un privilegio dell’esecutivo su tutta la politica estera americana, anche su materie che dovrebbero essere regolate su trattati internazionali, per cui la costituzione esige una ratifica del congresso, e anche a maggioranza qualificata. E’ un tema che diventerà importantissimo nei prossimi due anni, quando Obama non avrà la maggioranza in nessuna delle due camere americane e cercherà di governare a colpi di decreti, per esempio se proverà a fare l’accordo con l’Iran contro la maggioranza del Congresso, come suppone un grande giurista come Alan Derschowitz in questo interessante articolo (http://www.gatestoneinstitute.org/4883/will-the-newly-elected-congress-push-obama-into ). Resta il fatto che gli obamiti, nel loro delirio ideologico, pensano che non solo Giudea e Samaria siano “territori occupati”, inclusa la città vecchia di Gerusalemme, ma che lo sia anche la parte occidentale della città, quella a ovest della linea verde. Materia di riflessione per quelli che anche da noi pensano che cedendo tutto all’Autorità Palestinese, e quindi ripristinando il muro di Gerusalemme, come vuole Abbas, il discorso sarebbe chiuso, la legittimità di Israele non sarebbe più in discussione e si arriverebbe finalmente alla pace. Neanche per sogno, e gli Stati Uniti almeno quelli che la pensano come Obama, sarebbero dalla parte dei nemici di Israele anche dopo un eventuale catastrofico ritiro sulle linee del ’49. E Menachem Binyamin Zivotofsky? Be’, per ora si tiene il suo passaporto senza l’indicazione dello stato in cui è nato. Vedremo cosa deciderà la Corte Suprema e se Obama obbedirà. Nel frattempo lui ha ormai compiuto i dodici anni e immagino che abbia iniziato a studiare per il suo Bar Mitzvà. Speriamo che la causa si concluda prima dell’età del suo servizio militare.

(art.tratto da informazionecorretta)