Rav Amitai Sermoneta è un rabbino italo-israeliano che per motivi lavorativi si trova costretto a fare la spola fra i due Paesi; tutta la sua numerosa famiglia vive in Israele e la sua abitazione si trova proprio nel quartiere di Har Nof. Sua moglie si trovava lì al momento dell’attentato, ma ancora più scioccante è il racconto del figlio che stamattina è scampato miracolosamente alla morte. Progetto Dreyfus ha raccolto la testimonianza esclusiva sull’accaduto. “Mio figlio si chiama Nissim, 26 anni ed è padre di due femmine. Non voglio nemmeno pensare che a quest’ora le mie nipoti sarebbero potute essere orfane”, così Rav Amitai inizia il racconto del dramma vissuto da suo figlio stamattina, mentre pregava nella sua solita sinagoga. Shachrit, la funzione del mattino, è iniziato alle 6.30 del mattino come ogni giorno e alle 7.00 Nissim e gli altri fedeli stanno recitando l’Amidà, una preghiera che si recita in piedi ed immobili e da cui non ci si può distogliere. “Mio figlio è assorto nella preghiera quando sente passi pesanti e vetri infranti” – racconta il padre ancora scioccato – “pochi secondi per capire cosa accade e Nissim si ritrova ad un metro dai terroristi che sparano all’impazzata e colpiscono con i coltelli”. Le grida, il panico e all’improvviso il sangue che segna profondamente una giornata che sembrava poter passare tranquillamente nello studio e nella preghiera come ogni giorno. Senza riflettere, Nissim afferra una sedia e la scaglia contro il terrorista più vicino, ma il tentativo non impedisce al palestinese di girarsi e sparare proprio contro di lui. È solo questione di attimi, il giovane italo-israeliano afferra un tavolo per proteggersi e nella confusione riesce a scappare più velocemente possibile fuori dalla sinagoga. Momenti terribili raccontati dalla voce provata di un padre la cui fede non cede neanche in questi momenti; gli chiedo un commento sull’accaduto e la prima cosa a cui pensa è il nome che 26 anni fa insieme alla moglie scelse per suo figlio. “Si chiama Nissim, lo sai che significa in ebraico? Miracoli. Lui è stato un miracolato, dobbiamo soltanto ringraziare il Signore se è ancora in vita”. Poi al momento dell’inevitabile domanda sull’ondata di terrore che sta attraversando Israele in queste settimane, rav Amitai Sermoneta esita un momento; “Vuoi sapere cosa penso? Forse è meglio che non dico cosa penso”. “Ma cosa si potrebbe fare, quale potrebbe essere una soluzione?”, incalzo ancora. “I padri di questi terroristi tengono più alle loro case che ai propri figli” – si apre alla fine il rabbino – “Li mandano ad uccidere gli ebrei e non importa loro se muoiono. Fa bene lo Stato a distruggere le case dei terroristi, perché tanto è l’unica cosa che gli interessa, della vita non si curano”. E sui terroristi aggiunge ancora: “Quei due avevano la cittadinanza israeliana, hanno il Bituach Leumì, l’assicurazione, l’assistenza, il passaporto e tutti i miei stessi diritti, eppure compiono attentati e ci uccidono. Voglio vedere cosa farebbero se si togliesse loro la cittadinanza israeliana, voglio vedere che ne sarebbe delle loro vite. Come i leader Hanyeh e Abu Mazen che incitano all’odio contro gli israeliani per poi portare qui i loro parenti malati”.

(art. tratto da progettodreyfus)