di Stefano Magni

Se è possibile avere qualcosa di peggio di un crudele attentato, questa è la reazione all’attentato stesso. Il terrorismo va avanti se i terroristi sono convinti che la loro azione paghi. E il messaggio lanciato dalle autorità palestinesi prima e dalla comunità internazionale poi, indica solo che il terrorismo paga. L’ultimo attentato, quello del 18 novembre, non ha neppure la dignità di un’azione terroristica. È stato un massacro, commesso con armi da mattatoio, in una sinagoga di Har Nof, sobborgo di Gerusalemme, che ha portato all’uccisione di quattro rabbini raccolti in preghiera e di un poliziotto (un druso) che ha cercato di proteggerli. I due attentatori sono stati uccisi a loro volta. Non sono stati colpiti bersagli militari o della polizia, come sempre nel caso del terrorismo. E, come sempre dall’inizio di questa nuova ondata di attentati, gli attaccanti hanno colpito di sorpresa con armi improprie, civili fra i civili che all’improvviso si trasformano in assassini. I due attentatori erano fra i 1000 prigionieri liberati dalle carceri israeliani in cambio del rilascio di Ghilad Shalit. Ancora una volta la percentuale di recidiva dei terroristi si dimostra altissima, quasi totale. Ma perché, appunto, le loro azioni sono “paganti”. Reazione di Hamas: “Siamo alle porte di una vera e propria Intifada innescata da Gerusalemme, al-Aqsa e dalle colonie. I martiri innocenti (sic!), ultimi dei quali Ghassan e Ouday Abu Jabal sono i fari che illuminano la soglia” di questa nuova “Intifada benedetta”. “A nulla serviranno i tentativi di far abortire questa Intifada”. Reazione di Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese: “(L’Anp, ndr) ha sempre condannato la morte di civili da ogni parte e condanna oggi l’uccisione di fedeli in una sinagoga a Gerusalemme ovest”. E intanto il profilo Facebook del suo partito, Al Fatah, si riempiva di congratulazioni agli “eroi” della sinagoga, pubblicava vignette antisemite e festeggiamenti vari. L’Anp foraggia regolarmente i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, garantendo loro stipendio, aiuti alle loro famiglie e una promozione nelle forze di polizia o nella burocrazia. Una volta usciti di galera, come i due stragisti della sinagoga, sono sicuri di avere piena copertura per sé e per le proprie famiglie. Importa addirittura poco che il governo israeliano distrugga le loro case (come è puntualmente stato ordinato dopo il massacro del 18 novembre), perché l’Anp non lascerà sole le loro famiglie. Reazione di Federica Mogherini, nuova alta rappresentante della politica estera Ue: dopo aver espresso una condanna d’ufficio all’uccisione di civili, ha fatto appello ai leader della regione: “perché lavorino insieme e facciano il possibile per calmare la situazione ed evitare ulteriori escalation”. L’Alto rappresentante aggiunge inoltre che “la mancanza di progressi verso una soluzione a due stati sistematicamente genererà altra violenza. Per questo chiede che si trovino compromessi e che si eviti che l’assenza di un quadro politico credibile sia usato strumentalmente e determini l’ulteriore radicalizzazione delle posizioni politiche e religiose”. La solita tesi, dunque, che questa violenza sia provocata dall’assenza di una soluzione politica. Che poi è sempre la stessa: due popoli, due Stati. Eppure la violenza antisemita che si sta scatenando in questi mesi, almeno a partire dal giugno scorso, dal rapimento di tre ragazzini ebrei, studenti di una scuola rabbinica, dovrebbe suggerire altro. Dovrebbe suggerire, per esempio, che l’obiettivo di Hamas (dichiarato dal loro statuto, per altro) è quello di sterminare gli ebrei, non quello di dare l’indipendenza alla Palestina. Il problema non è un mancato riconoscimento territoriale e politico, ma l’esistenza e la proliferazione di gruppi estremisti islamici, da Hamas all’Isis, che non tollerano l’esistenza di altre religioni. L’Ue, invece, continua nella sua politica di sostegno dello Stato palestinese e destina 450 milioni di euro alla ricostruzione di Gaza, città completamente controllata da Hamas. Che sicuramente saprà usare quei fondi al meglio delle sue capacità: contro Israele. Reazione del parlamento spagnolo: lo stesso giorno del massacro nella sinagoga, ha approvato all’unanimità una risoluzione, non vincolante, per il riconoscimento della Palestina come Stato indipendente. Il Congresso è il terzo parlamento europeo a pronunciarsi in tal senso, dopo quelli di Gran Bretagna e Irlanda. Ironia della sorte: lo stesso giorno in cui approvava l’indipendenza della Palestina, lo stesso parlamento spagnolo prendeva in esame la richiesta di oscurare un sito web reo di aver dato copertura al referendum per l’indipendenza della Catalogna. Dal punto di vista di un palestinese, di un qualunque estremista islamico, il terrorismo contro gli ebrei paga. Se muore, va in paradiso e sa che i suoi familiari non saranno lasciati soli. Se vive, avrà comprensione e riconoscimento internazionali. Per questo, il terrorismo non si fermerà.