Netanyahu dunque ha vinto. In modo netto. Imprevisto, dicono molti. Perché imprevisto? Sulla base di quali fondamenti si fanno certe previsioni? Sarebbe interessante rileggere, a cose fatte, la miriade di articoli “intelligenti” con cui editorialisti preparati e documentati, sorretti da “scientifici” sondaggi, hanno annunciato l’inevitabile declino dello storico intralcio al raggiungimento della “pace”: Benjamin Netanyahu. Eppure, diversi segni avrebbero potuto far capire che questo risultato poteva benissimo rientrare tra quelli possibili, se non probabili, come poi si è visto. La spiegazione di questa incapacità di lettura dei segni sta nella loro natura, perché sono segni che hanno a che fare con il “fattore Dio” (il Signore mi perdoni per questa dizione, usata a scopi esclusivamente giornalistici). Con Israele, e in particolare con Gerusalemme, i commentatori di tutte le tendenze continuano a “fare i conti senza l’Oste”, perché non danno importanza al menù, con relativi prezzi, che pure già da secoli è appeso fuori dell’entrata di Gerusalemme. Chi invece cerca di essere attento a quei segni, non per questo ha la certezza di sapere in anticipo tutto quello che avverrà, ma davanti a differenti possibilità riguardanti il paese, prima ancora di arzigogolare su quello che lui ed altri riescono ad immaginare intorno a fatti che potrebbero avvenire nel futuro, si chiedono: ma che cosa ha già detto Dio a questo riguardo nel passato? Che cosa ne penserà oggi? Che cosa deciderà di fare? Per rispondere a queste domande non si va certamente a leggere gli articoli di Repubblica, e nemmeno quelli del Giornale, ma si riflette su quello che sta scritto nella Bibbia. Esaminiamo allora alcuni fatti che hanno preceduto questa votazione. Credo che molti abbiano notato la straordinaria concordia degli oppositori dell’attuale Primo Ministro israeliano; i motivi potevano essere i più diversi, ma tutti cantavano in coro: Netanyahu se ne deve andare, è lui l’ostacolo, senza di lui tutto andrà meglio. Qualcuno forse non se ne sarà accorto, ma chi è abituato a tener conto del “fattore trascurato” avrà capito che molti dicevano Netanyahu per sottintendere Israele. So bene che molti negheranno questo, anche fra gli ebrei, anche fra gli ebrei israeliani, ma la loro buona fede non è decisiva per capire come stanno le cose. Ecco alcuni elementi che possono aver indotto a dubitare dell’inevitabile caduta di Netanyahu, alcuni dei quali sono stati già indicati su queste pagine. La preghiera pubblica di Noa: «Shma Yisrael, Adonai eloheynu. (Ascolta Israele, il Signore è il nostro unico Dio). Buon Dio, eccomi, sono Achinoam, la ragazzina (…). T’imploro di inviare saggezza e compassione ai cuori dei nostri cittadini, che votino per liberare il Paese del governo razzista, distruttivo, arrogante di Benjamin Netanyahu e le sue coorti. Ti prego, Dio, mandali a casa!» Avevamo aggiunto, in calce all’articolo che avevamo riportato, una breve osservazione: “Chissà se sarà contento Dio di questo uso del suo nome a scopi elettorali”. Certamente, ci sono altre persone che silenziosamente e non in pubblico hanno chiesto al Signore di intervenire in modo diverso da quello chiesto da Noa, pur sottomessi alla sua suprema volontà. Per quel che mi riguarda, dico soltanto che nella mia preghiera c’era la richiesta evangelica indicata da Gesù: “Sia santificato il tuo nome”. Ed è indubbio che nella preghiera di Noa, dettata da una non incolpevole ignoranza, sono presenti elementi di menzogna con i quali non si può chiedere il coinvolgimento del nome del Signore. E il Signore, a quanto pare, non ha voluto esserne coinvolto. Netanyahu ha avuto la determinatezza, anche davanti a un “potente” del mondo come Obama, di cui dovrebbe essere messa in evidenza non l’antipatia per Netanyahu ma l’avversione per Israele, insieme al determinato proposito di indebolirlo fino a metterlo nell’impossibilità di difendersi, di continuare a manifestare la ferma volontà di difendere il suo paese da un nemico dichiarato come l’Iran. Netanyahu, da navigato politico qual è, si è fermato qui, ma forse nella sua mente avrà pensato che col suo discorso stava difendendosi anche da un nemico non dichiarato, ma per questo più temibile. La sua era un’azione giusta da fare, quali che fossero le conseguenze politiche che secondo gli immancabili previsionisti ne sarebbero scaturite. Netanyahu ha dichiarato pubblicamente che con lui al governo Gerusalemme non sarebbe stata divisa. Questa è una esplicita volontà dell’Oste, ed è con lui che bisogna fare i conti, non con i maestri di menzogna che dirigono le Nazioni Unite. A onor del vero, Netanyahu, al contrario di altri importanti personaggi politici molto ossequiati dai media, ha sempre detto che Gerusalemme non deve essere divisa, ma ha anche cercato di non sottolinearlo troppo. In questa occasione invece l’ha ripetuto esplicitamente, e vi ha aggiunto un’inevitabile conseguenza che fino a poco fa non aveva espressa: la negazione della possibilità di uno stato di Palestina. Il fatto in realtà è ovvio, ma per qualche motivo non si sottolinea abbastanza: dire sì a uno stato palestinese significa dire sì alla divisione di Gerusalemme. Netanyahu ha detto che con lui al governo questo non sarebbe avvenuto, e con ciò ha indicato la direzione giusta in cui muoversi: una direzione in linea con la già dichiarata intenzione di Dio. Tutto questo poteva ragionevolmente far pensare che Dio avrebbe potuto, ancora una volta, farsi beffe delle parole degli uomini. “Dio conosce i pensieri dei savi, e sa che sono vani”, “Dio prende i savi nella loro astuzia”: così sta scritto nella Bibbia e così è avvenuto. La cosa migliore che commentatori e giudici di Israele dovrebbero fare è decidersi a inserire tra i loro elementi di valutazione il “fattore Dio”. Si può farlo in modi sbagliati, ma il non farlo conduce inevitabilmente a conclusioni sbagliate. Detto questo, non so che cosa avverrà fra poco, né quello che lo stesso Netanyahu farà di sua spontanea volontà o sarà costretto a fare nei prossimi mesi. Ma resta il fatto che per quel che riguarda questione Israele, quello che si dice pubblicamente è più importante di quello che si fa. Perché ciò che realmente avviene, in ultima analisi, non dipende da quello che prevedono e decidono gli uomini, ma da come Dio valuta quello che dicono e fanno gli uomini, per fare alla fine quello che Lui stesso ha deciso di fare.

(Notizie su Israele, 18 marzo 2015)