Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici, Domani sera al tramonto inizia Yom Hashoah, che è la data del ricordo del genocidio nazista del popolo ebraico, stabilito dal parlamento israeliano, diversa da quella che si usa in Europa. Il nome completo è Yom Hashoah Ve-Hagevurah, “il giorno della distruzione e dell’eroismo”, che allude alla resistenza che gli ebrei opposero al nazismo, tanto arruolandosi con i movimenti partigiani di tutti i paesi (in Italia per esempio la partecipazione ebraica alla Resistenza fu notevole, ben superiore al peso demografico della comunità), sia ribellandosi da soli dov’era possibile (l’esempio più famoso è la rivolta del ghetto di Varsavia, che tenne impegnate le truppe tedesche per un mese, proprio in questo periodo della Pasqua ebraica e dei giorni successivi, fra il 19 aprile e il 16 maggio 1943), sia infine con la resistenza meno visibile ma altrettanto difficile di coloro che non si arresero mai al male, che pur senza combattere continuarono a rispettare nei limiti del possibile le norme di vita ebraica anche nei campi di sterminio, sia infine cercando in tutti i modi di partecipare alla guerra con un’unità propria, cosa che divenne possibile nonostante l’opposizione dell’establishment inglese solo nei mesi finali della guerra, con la Brigata Ebraica. Il legame emotivo e personale di Israele con la Shoà è naturalmente fortissimo. E’ difficile trovare famiglie che non portino le cicatrici del genocidio. E tutti sono consapevole che in tempi di antisemitismo rimontante Israele è il solo argine alla possibile ripresa della persecuzione.

Israele stessa è odiato, discriminato, boicottato in mezzo mondo non per le sue politiche o i suoi eventuali errori, ma per il suo carattere ebraico – nessuna persona intellettualmente onesta può negare l’accanimento singolare del mondo contro uno stato democratico e aperto circondato da nemici mortali e non vi è alcun altro motivo per questo se non il suo essere l’ebreo fra gli stati. Che il soggetto della persecuzione antiebraica sia passato da destra a sinistra (spesso nell’ambito della stesso percorso personale, come nel caso del non compianto Gunther Grass), che i pretesti siano passati dal deicidio al razzismo all’ ”anticolonialismo” e al “pacifismo” di oggi, è solo un cambiamento superficiale. La differenza rispetto a settant’anni fa è che Israele ha i mezzi e la volontà per difendersi.

La commozione è comunque grande in un paese erede di una storia grandissima, la cui penultima tappa è stata però un tentativo di genocidio. Come nel giorno del ricordo dei caduti, che ci sarà fra poco più di una settimana, durante la giornata a un certo punto suona la sirena d’allarme e tutto si ferma, compreso il traffico frenetico di Tel Aviv

(https://www.youtube.com/watch?v=4uK5uz7d-Oo)

E’ il momento di un ricordo collettivo, di una preghiera, di una meditazione, comunque della consapevolezza di tanti sacrifici e difficoltà. La differenza con la Giornata della memoria europea sta in questa dimensione davvero collettiva, non pedagogica ma partecipativa. Israele ricorda la Shoà, in un certo senso ne è figlio. Il che non vuol dire, come sostengono gli antisemiti, che lo Stato sia stato concesso dall’Europa come riparazione alla strage. Tutto il contrario. Fino alla vigilia dell’indipendenza il paese alleato più potente dell’Europa occidentale, la Gran Bretagna, fu fermamente contraria, si oppose alla delibera dell’Onu e promosse l’alleanza dei paresi arabi che cercarono di cancellare il nuovo piccolo stato, guidò in combattimento l’esercito della Giordania che fece pulizia etnica di Gerusalemme e della Giudea e Samaria. L’Urss votò a favore per mettere in difficoltà i colonialisti inglesi, gli americani furono profondamente divisi. Israele conquistò la sua indipendenza con le armi, vincendo contro tutte le previsioni un’alleanza immensamente più forte. Anche questa è Gevurah, eroismo; anche in questo Israele è l’erede della resistenza ebraica.

Art. tratto da informazionecorretta