Commento di Maurizio Molinari,

video sugli italiani che emigrano in Israele

C’è un’italiana di 21 anni fra i soldati israeliani che vengono premiati oggi dal presidente Reuven Rivlin in una delle cerimonie più popolari dell’anniversario dell’Indipendenza. Arrivato a 67 anni dalla nascita, lo Stato ebraico si riconosce nei «militari eccellenti» scelti personalmente dal Capo dello Stato perché capaci di rappresentare «la voce di Israele» e Lea Calderoni ha saputo di essere stata prescelta solo pochi giorni fa. «Non me lo aspettavo e sono molto felice» ammette, raccontando la sua storia: nata a Roma, padre italiano e madre belga, studi al liceo scientifico e al termine una vacanza in Israele con il gruppo di volontari «Taglit». «Sono bastate poche settimane per innamorarmi di questo Paese, al termine della vacanza ho scelto di rimanere e fare l’aliya» ovvero diventare un’immigrata. Era il 2013 e «da nuova israeliana, come avviene per tutti, è arrivato quasi subito il momento di arruolarmi». I primi sei mesi di addestramento «sono stati difficili e al tempo stesso divertenti perché ero con ragazze tutte non israeliane e nessuno capiva bene i comandi degli ufficiali in ebraico». Integrazione Ma poi l’integrazione nei ranghi ha funzionato e «mi hanno designato “madricha” della Sar’el» ovvero istruttore della particolare unità dell’esercito che raccoglie i volontari giunti da ogni Paese del mondo. «Vengono per poche settimane o alcuni mesi, vogliono aiutare l’esercito e sono impiegati in mansioni logistiche o amministrative» spiega Lea, facendo come esempi «mettere in ordine i depositi o catalogare le scorte». «È un aiuto importante per Tzahal – aggiunge, parlando delle forze armate – perché consente di richiamare meno riservisti, facendoli rimanere nella vita civile, in famiglia e al lavoro». Non ebrei Ciò che ha subito colpito Lea è che «oltre il 20 per cento dei volontari stranieri non sono ebrei», vengono «da Stati Uniti, Canada, Sudamerica, Europa, India, Singapore» e «si sentono legati ad Israele per le ragioni più diverse, vogliono aiutare». Proprio con i non ebrei Lea ha debuttato come istruttore. «Era un gruppo di finlandesi ed olandesi, tutti cristiani, dai quali ho imparato molto in altruismo». Poi sono arrivati gli americani: «Un veterano dell’Afghanistan, 35 anni e senza gambe, che raccontava con il sorriso il trauma subito in guerra dando coraggio ai soldati nei momenti più delicati» e «un 70enne guru con il quale facevo yoga la mattina mentre mi spiegava le regole della vita». Le motivazioni La capacità di entrare in sintonia con tali e tante identità diverse dall’ebraismo laico romano da cui proviene hanno valso a Lea i gradi di caporale con tanto di lodi da parte degli ufficiali che, risalendo la catena di comando di Tzahal fino ai gradi più alti, sono arrivate sul tavolo di Rivlin per la designazione finale. Fra le qualità che più gli vengono riconosciute c’è «la capacità di sorridere e interagire con tutti» anche nelle situazioni più difficili, impreviste. Quasi un riconoscimento alle origini italiane. Non a caso nel giorno della premiazione tiene a dire, con una punta di orgoglio, «sono israeliana e mi sento al tempo stesso italiana per l’educazione che ho ricevuto, per ciò che ho potuto apprendere, per ciò che sono».

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Art. tratto da informazionecorretta