II silenzio sul fronte antisemita è pericoloso.

di Renzo Fracalossi

«È vero che un ebreo è un essere vivente, ma anche una pulce è un essere vivente e, per nulla, gradevole. Il nostro dovere verso noi stessi e verso la nostra coscienza sta nel renderla inoffensiva. Lo stesso vale per gli ebrei». Così Adolf Hitler nel «Mein Kampf». «Di solito i grandi uomini che ammiriamo a distanza, perdono la loro magia se conosciuti da vicino. Con Hitler è vero il contrario». Così Radio Islam a commento di una fotografia che ritrae Goebbels e Hitler. Insomma, il vecchio ceppo dell’odio antiebraico che produce ancora nuovi germogli. Non si tratta solo di svastiche con le quali qualche idiota imbratta i muri e nemmeno dei forsennati auspici di distruzione dello Stato di Israele da parte di irresponsabili voci, anche contigue a certa politica, bensì del ritorno, con crescente arroganza di quell’antisemitismo che è, qualitativamente, diverso da ogni altro odio razziale o ideologico, perché si nutre di secoli; di geografie vaste ed è culminato in quel vertice supremo del male assoluto che è la Shoah. La riscoperta ciclica dei «Protocolli dei Savi anziani di Sion»; le strampalate teorie negazioniste dell’Olocausto; il rifiorire dell’antico e mai sopito «spettro» del complotto internazionale sionista altro non sono che i noti ingredienti per l’ennesima distillazione di veleno, trasfusasi oggi in una nuova, quanto orribile, «lista di proscrizione» degli ebrei italiani e dei «devoti sayanim», cioè «persone liete di servire Israele, pur vivendo in uno Stato diverso da quello israeliano».

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