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In primo piano 1967-2017: fuga da Tripoli. L’esodo degli ebrei di Libia.

Il 6 giugno all’Orfeo l’anteprima del film Noi siamo l’anello di una catena proiettata nel tempo, siamo il Tempo che cammina su due gambe, scriveva il pensatore Abraham J. Heschel, parlando del popolo ebraico. Non a caso la Torà inizia con il concetto di tempo, Bereshit, In principio…. E anche il Talmud inizia con la parola Ne’eman, Da quando…, anche questa è un’espressione di tempo e non di spazio. Heschel sapeva che sopravvivere nei meandri di un tempo cinico e avverso è una delle tante investiture ebraiche. Ben lo sanno gli ebrei di Libia che ancora conservano vivido il ricordo dell’espulsione violenta avvenuta dopo la rivoluzione di Gheddafi, nel 1967, all’indomani della Guerra dei Sei Giorni. Il ricordo di tumulti e moarot, il distacco dal lungomare di Tripoli, sopravvivono ancora oggi, incapaci di elaborarsi fino in fondo, in forma di lutto, come se chi viene sradicato in modo traumatico dal luogo dove nasce non potesse mai strapparsi dagli occhi i paesaggi delle origini. Continua a leggere su mosaico