Più ci si allontana dagli anni orribili della Shoah più ritornano a galla gli stereotipi più odiosi nei confronti degli ebrei, non solo degli israeliani.

La denuncia in un libro-inchiesta. Perché non è solo xenofobia. di Antonio Donno “Io non sono antisemita, è soltanto Israele che aborrisco”, afferma l’antisemita di oggi per difendersi dall’accusa di antisemitismo. In realtà, come i fatti dimostrano, giudeofobia e anti-israelismo sono ormai praticamente indistinguibili, cioè a dire che la “questione ebraica” e la “questione israeliana” sono perfettamente sovrapponibili. Ciò comporta uno sviluppo dell’antisemitismo in Europa come mai si era avuto nei decenni dopo la Shoah. Gli antisemiti odierni “hanno reindirizzato la ‘Soluzione Finale’ dagli ebrei allo stato di Israele, che considerano l’incarnazione del male”. Questa orrenda constatazione ben esprime il senso della fondamentale opera di Monika Schwarz-Friesel e Jehuda Reinharz, Inside the Antisemitic Mind: The Language of Jew-Hatred in Contemporary Germany, pubblicato in Germania nel 2013 e quest’anno negli Stati Uniti dalla Brandeis University Press. Il libro non è uno studio teorico sull’antisemitismo; i due ricercatori tedeschi hanno vagliato, a partire dal 2002, migliaia di email, lettere, cartoline postali e fax inviati da tutte le regioni della Germania al Central Council of Jews tedesco e all’Ambasciata di Israele a Berlino. Si tratta, quindi, di un libro fondato su una massa imponente di documentazione, di dati empirici che rivelano il permanere, e anzi il rafforzarsi, di un odio irrazionale e ossessivo verso gli ebrei, coniugato con la ripresa di antichi stereotipi, erroneamente ritenuti ormai estinti dopo la Shoah.

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