Editoriale di Fiamma Nirenstein

E’ difficile, per un’ebrea, scrivere di nuovo di antisemitismo. Nonostante sia universalmente noto che gli attacchi si sono moltiplicati in tutto il mondo, è un po’ come se si parlasse di uragani. Che ci si può fare? Io so che i lettori per la gran parte non capiranno, o meglio, non vogliono sapere di che cosa stiamo parlando, anche se è doveroso dire che le misure annunciate, viaggi ad Auschwitz, letture di pagine di Anna Frank, sono già un primo passo. Ci voleva Shakespeare per far dire al Mercante di Venezia che se si taglia la carne di un ebreo, essa sanguina come quella di qualsiasi altro. Poi, nei secoli, la cosa è stata di nuovo dimenticata. Il maggiore studioso del tema, Robert Wistrich, spiega che il tema non è mai stato separato dallo stigma legato al genocidio nazista, ma che in realtà è un mostro dalle molte teste, e che è in crescita sia per la crescita delle destre, come anche, e per lo più, a causa della crescita delle minoranze musulmane, o semplicemente per la banalizzazione dell’atteggiamento antisraeliano della maggior parte delle istituzioni internazionali. Ma un ebreo oggi non ha più voglia di piangere, non ha voglia di chiedere aiuto o protezioni. Sinceramente, a me, pur apprezzando l’iniziativa, che i tifosi della Lazio vadano in pellegrinaggio ad Auschwitz non indica nessuna garanzia per il futuro.

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