Editoriale di Claudio Cerasa

Nel corso degli ultimi giorni – giorni duri, giorni di intifada, giorni di missili, giorni di battaglia, giorni di orgoglio antiebraico – nella descrizione della nuova fase conflittuale in medio oriente c’è una grande rimozione lessicale e culturale che coincide con il nome del paese che continua a essere l’obiettivo principale dell’odio islamista: Israele. Da venerdì a oggi l’odio islamista nei confronti di Israele ha trovato un nuovo pretesto per far detonare l’eterna bomba dell’antisionismo e dell’antisemitismo e ha utilizzato l’occasione della decisione annunciata da Donald Trump di spostare l’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme (e chissà poi quando capiterà davvero) per scatenare una nuova intifada contro il popolo ebraico (la Seconda Intifada nel 2000 venne pianificata a freddo durante i colloqui di Camp David con mesi di anticipo, la guerra del Libano nel 2006 iniziò improvvisamente con il rapimento e l’uccisione di alcuni soldati israeliani, l’ultima guerra a Gaza del 2014 iniziò con l’assassinio dei tre studenti israeliani, l’Intifada dei coltelli nel 2015 iniziò con un ragazzo che prese un pugnale e uccise un israeliano e nella storia israeliana gran parte degli scossoni sono nati senza alcun grande fatto che li precedesse e per questo anche questa volta è lecito dire che l’intifada si sa quando comincia ma non si sa quando finisce). Nella descrizione dell’intifada, purtroppo, buona parte dell’opinione pubblica tende a dimenticare che tra Israele e Hamas non è in corso un conflitto simmetrico ma è in corso un conflitto tra l’unica democrazia funzionante del medio oriente (nonché esempio di integrazione) e una forza terroristica che sfrutta ogni pretesto per provare a cancellare Israele dalla carta geografica (i missili li lancia Hamas, Israele quando lancia i missili di solito lo fa per difendersi). E all’interno di questa rimozione ci si dimentica regolarmente di dire che ogni iniziativa islamista rivolta contro Israele ha un unico e chiaro obiettivo, che è quello di provare a distruggere il popolo ebraico. Il dato sconvolgente degli ultimi giorni però è che la violenza contro Israele non arriva solo attraverso i missili militari sganciati da Hamas, ma arriva anche attraverso i missili diplomatici sganciati dalla stragrande maggioranza delle istituzioni del mondo che proprio nelle stesse ore in cui Israele tornava a essere l’obiettivo dell’odio islamista decidevano di redarguire Trump (lo ha fatto l’Onu venerdì pomeriggio) per aver ostacolato il processo di pace in medio oriente.

Continua a leggere notizia su IC