di Azad Vartanian

Un progetto un po’ azzardato, quello nato tra me ed Ivan Basana un po’ di tempo addietro! Non come quello dei ritrovamenti dei resti dell’arca, ma un progetto complesso per le varie problematiche politiche e religiose annesse. Vidi nello sguardo acuto di Ivan l’entusiasmo dell’azzardo nell’affidare alle “capaci mani del Signore” ogni ansietà del difficile disegno fermo da ormai sette decenni:

Il riconoscimento quale “Giusto delle Nazioni” per il giovane defunto alpinista, pianista e scrittore milanese Ettore Castiglioni.

Vedevamo entrambi la sfida verso le avverse difficoltà che avevano bloccato per decenni i tentativi mossi da alcuni, nel cercare di riconoscere le gesta di chi più non poteva dimostrare alcunchè dallo Sheol, il luogo in cui ognuno giunge dopo il suo percorso umano. Oggi possiamo affermare che si sbagliavano: non sempre l’esser deceduti implica il non poter testimoniare una “potente” verità! Infatti si può quasi dire che “le pietre hanno parlato” per quel povero giovane Ettore Castiglioni ormai scordato dai più, dopo settanta anni. Settanta come gli anni che ci separavano dalla fondazione dello Stato di Israele. Aveva 36 anni alla sua morte, come Mozart, come il poeta Byron, come Gershwin, ma non la loro fama. Poichè egli la rifuggì assieme alla ricchezza della famiglia di industriali dei liquori, alle posizioni altisonanti della Società milanese e dei suoi salotti fascisti, al rumore della città. Ecco ciò che ho visto a Tiberiade e sul Mare di Galilea. I silenzi delle mie dolomiti d’autunno, il soave tepore dell’aria suflata dolcemente dai flauti duduk armeni sulle placide onde del lago memore dei passi miracolosi del Messia. Ciò che cercava nei miei monti Ettore, l’ho respirato tra le incredibili coltivazioni di Galilea e del Golan grandioso. Tra gli olezzi inebrianti delle vigne e dei suoi frutti d’alta quota il cui succo non può che dare gioia ai cuori più feriti, quando vi si arrecano lungo le verdi pendici. Come può il mio animo scordare le soavi acque del Giordano inverdite dalla vegetazione protettiva che lo avvolge come un abbraccio antico, memore del più esaltante battesimo dell’umanità.

Ma anche le belle conferenze a Gerusalemme con Dan Bahat, ottantenne archeologo di fama mondiale che ci spiega la storia dell’arca, e che poi ci accompagna per ore con la vitalità di un ventenne, dai resti del tempio ai meandri sotterranei dell’antico acquedotto usato dal re Davide. Ho anche visto un Erode differente da ciò che sapevo. Un geniale edificatore di città, porti modernissimi, torri e sopratutto palazzi incredibili. Un re che volle godere di ogni clima di Israele nei diversi periodi dell’anno. Dal caldo salinico di Masada, al mite e ventilato di Tiberiade, sino all’umido ventilato di Cesarea ma sopratutto l’incredibile collina artificiale costruita ad Herodion. Da lì poteva osservare la “Sua” Gerusalemme nei periodi torridi, godendo di sistemi idraulici sotterranei incredibili. La silente ombra dei millenari olivi del Getsemani sul monte degli Ulivi raccontava ancora la rasserenante presenza di Cristo, nella sua ultima ora umana, a dirci grazie per esser venuti a ricordarne il sacrificio. Voli di cicogne nei cieli tersi invernali, ma anche aironi che pescavano nel mare di Cesarea e nel lago di Galilea, e passeri privi di timore in terra Santa che si cibano dalle mani e dai tavoli dei commensali in ogni dove, e pappagalli schiamazzanti che spiluccano avidamente i resti degli ultimi datteri al di fuori della sinagoga di Capernaum, ove il Messia predicò. Una Terra Promessa di latte e miele, ma attorno alla città Santa non vi sono api, poiché il deserto di Giuda non fornisce loro fiori. Ecco quindi che il miele lo danno le piante da datteri, di colore scuro ed ancora lo si può acquistare. E poi vino che “rallegra i cuori”, ed i vini del Golan, del Negev e di Tiberiade non hanno alcun additivo chimico aggiuntivo, perchè raggiungono i 15 gradi, ma il profumo e la morbidezza non hanno pari neppure nei migliori Amaroni della Valpolicella. Deserti che fioriranno e daranno raccolti tutto l’anno, avveratosi con la microirrigazione sotterranea. Tutta la vallata del Giordano depressione che raggiunge i 400 metri sotto il livello marino per centinaia di chilometri, è coltivata. Come la Galilea, parte della Giudea e della Samaria…milioni di palmeti da datteri (i più grandi e migliori del mondo), bananeti, avocados, frutteti, e poi a Jaffa ove gli ebrei selezionarono per primi gli aranci da noi conosciuti partendo da un frutto piccolo, aspro e pieno di semi, vi sono i migliori pompelmi, cedri, aranci e mandarini del pianeta! Le serre di fresche verdure sono ovunque, in ciò che attorno è desertico e non sazi dei risultati già straordinari, gli ebrei hanno sperimentato un fiore a loro sconosciuto: il carciofo. Che però nella Roma che fu, già la cucina ebraica aveva aggiunto i “carciofi alla giudìa”, giunti sino a noi. Ma con il contributo di Ivan Basana altri forse 50 ettari stanno producendo in Israele dei carciofi di proporzioni enormi, grazie al terreno, al clima favorevole ma sopratutto alla particolare irrigazione sotterranea. E poi i mercatini e le botteghe artigiane di Gerusalemme antica: ceramiche armene, orafi ed argentieri ebrei, pellami arabi e palestinesi, broccati e damaschi siriani. E le taverne, con cucina libanese, ebraica, armena, giordana, tailandese, italiana…insomma un crocevia molteplice plurazziale che convive da secoli eche non ha molti paragoni nel mondo. Poi le infinite chiese e moschee, a diecine, di culti antichi copti, sufi, maroniti, apostolici armeni, greco-ortodossi, evangelici, caldei, musulmani. Ecco forse questo è il vero miracolo oggi di Gerusalemme. La plurireligiosità che convive e si sopporta in pochi ettari di mura antiche della cittadella. La prova vivente e pulsante che ci può essere pace nella molteplice differenziazione, e anche che da un solo insegnamento biblico si sono dipanate incredibili interpretazioni evangeliche! Solo per questo vorrei tornare in Israele, e solo per capire ed imparare ognuno dovrebbe andarci una volta almeno nella vita.

A me rimane un ricordo surreale di una notte appena al di fuori delle mura della cittadella appena illuminate da luci fioche. All’improvviso un lontano scalpitìo di zoccoli sulle lisce lastre della salita che stavo per scendere. Mi apparve un meraviglioso destriero arabo, candido come le nevi dell’Hermon. Sopra di esso una figura maschile alta, totalmente scura, il cui viso era imperscrutabile. Cavalcava a pelo, privo di sella. Mi giunse dinnanzi, si fermò, voltò l’animale e lentamente ridiscese nella penombra come fosse un “messaggero dell’Apocalisse”la medesima strada. Presagio sinistro e funereo per la città Santa? Annunciatore di liete novelle per il suo futuro incerto? Con tale quesito tornai nel castello ove dormivo, riflettendo su ogni cosa assaporata in quei giorni.