Il Giornale, 05 aprile 2018

E’ davvero la nemesi di ogni processo di pace il fatto che le sciagure della Siria e la sua risoluzione siano finite ieri nelle mani del gatto, Tayyip Erdogan, la volpe, Hassan Rouhani e il padre nobile, Vladimir Putin. Che foto opportunity, il mondo del nuovo imperialismo in una sola foto. Il loro incontro ad Ankara ieri ha disegnato una soluzione un coacervo di interessi acuti e contrastanti, e una volontà evidente di spartizione.

Il tutto, segnato dalla bambinesca soddisfazione, peraltro autorizzata dal grande assente, che l’America di Trump sia fuori dal giuoco, errore che Trump ancora non ha capito quanto sia grande, poiché consente l’espansione dei suoi peggiori nemici in un’area volatile e pericolosissima. Trump ha annunciato il suo desiderio di salpare definitivamente le ancore, abbandonando Curdi, Yazidi, sunniti dissidenti, cristiani… Nelle mani del trio.

Dell’Europa non se ne parla nemmeno, in senso proprio. E la strage dei trecentomila continuerà. I tre protagonisti non si sono abbracciati intensivamente davanti alle telecamere, i loro scopi rimangono l’uno contro l’altro. l’Iran e la Russia sono i sostenitori di Assad, mentre Erdogan lo odia. Ma Erdogan, che assorda il mondo dando di assassino a destra e a manca, ora dimentica la ruggine con la Russia, sempre più spessa da quando nel 2015 gli buttò giù un aeroplano da guerra. Da allora, con grande preoccupazione degli alleati occidentali che siedono insieme alla Turchia nella NATO, Erdogan ha recuperato e allargato il suo rapporto, fino ad essere uno dei pochi Paesi che non hanno espulso i diplomatici Russi dopo l’attacco con gas nervino contro un’ex spia di Putin.

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