di Ugo Volli

I palestinisti chiamano “resistenza popolare” gli attacchi terroristi di piccola dimensione e già il nome è un programma, perché implica l’appoggio e l’approvazione sociale che l’Autorità Palestinese fornisce a questi crimini, oltre all’istigazione sui suoi media convenzionali e social e gli stipendi forniti ai terroristi e ai loro famigliari. Altri parlano di “lupi solitari”, “mini-terrorismo”, “terrorismo fai da te” o “a bassa intensità” , ma la sostanza è quella: sono atti criminali che non mettono a rischio la sicurezza strategica di Israele, ma uccidono persone innocenti, devastano famiglie, esprimono l’odio ma anche lo moltiplicano.

Chi dovrebbe preoccuparsene non sono dunque tanto i militari, che per mestiere devono badare innanzitutto ai grandi rischi, che in questo momento si chiamano Iran e Hezbollah, con la preoccupante complicità russa; ma invece coloro che proclamano di essere nel “campo della pace”, di voler “costruire ponti e non muri”, di essere contrari al bellicismo e alle misure militari, insomma la sinistra, i cattolici, i media che non amano essere chiamati “buonisti” ma lo sono. Eppure sono proprio loro che stanno zitti, che evitano di condannare, o parlano genericamente di “violenza”, come ha fatto ieri l’ambasciatore europeo in Israele suscitando scandalo. Se i paesi europei, che si preoccupano così tanto dello smantellamento di un insediamento beduino illegale e inquinante e dello spostamento dei suoi abitanti in un villaggio decente qualche chilometro più in là, alzassero la voce contro i palloni esplosivi lanciati da Hamas (la cui ultima versione comprende anche dei giocattoli riempiti di esplosivo, nella cinica speranza che qualche bambino li prenda in mano e ne sia ucciso o mutilato), se avessero protestato contro l’accoltellamento o gli investimenti automobilistici di civili ammazzati a caso solo perché hanno l’aria di essere ebrei, oggi sarebbero certamente più credibili.

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