Andrea Di Consoli legge il libro di André Taguieff

Non basta la testimonianza e l’ammonimento, per combattere e superare il più grande pregiudizio etnico e religioso della storia. Per affrontarlo degnamente bisogna provare a indagare le ragioni storiche, culturali e psicologiche che hanno portato gli ebrei ad essere il popolo più perseguitato di tutti i tempi. Aiuta in questa ricerca leggere L’antisemitismo (Raffaello Cortina, 139 pagg., ii euro) di Pierre-André Taguieff, un compendio agile e puntuale sulle ragioni, spesso oscure e deliranti, del pregiudizio antigiudaico. Taguieff parte da una premessa importante, ovvero che una cosa è l’antiebraismo, che è di natura religiosa, e una cosa è l’antisemitismo, di fatto una menzogna concettuale, essendo la matrice semitica puramente linguistica e non razziale. Il libro spiega come l’antisemitismo razzista, di fatto un fenomeno recente, abbracci un arco temporale abbastanza ampio, grosso modo dalla metà del XIX secolo alla metà del XX secolo, tanto che la decisione estrema della “soluzione finale” andrebbe a questo punto retrodatata di molto come scelta politico-ideologica.

Tra i tanti miti antiebraici che Taguieff analizza con precisi riferimenti storici ci sono i sacrifici umani, il cannibalismo, l’usura, il complotto internazionale, lo Stato nello Stato e il deicidio. Ma, in ultima istanza, tutto l’odio ciclico contro gli ebrei può essere letto come un processo isterico e radicale di rifiuto, specialmente in epoche di crisi economica e di insicurezza sociale, di un’alterità ben definita, essendo il popolo ebraico rigidamente legato alle proprie tradizioni rituali e, spesso, refrattario alla cosiddetta assimilazione nei Paesi di approdo. Un popolo di enorme ricchezza spirituale e storica divenuto capro espiatorio a causa di un’identità forte e di una tradizione difesa e tramandata con orgogliosa determinazione.

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