Si capisce facilmente perché la figura di Donald Trump, quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, crei, prima ancora che ostilità, disagio in molti ambienti politici e culturali al di qua e al di là dell’Atlantico. Trump sembra fatto apposta per dispiacere, a partire dal suo linguaggio verbale e corporeo, dal suo ciuffo arancione, dalla ostentazione plebea delle sue esternazioni; ma anche per ragioni di contenuto politico, per la scarsa propensione alla mediazione, per la maniera tranchante di assumere posizioni in contrasto con il senso comune diffuso, per l’ostentata esibizione di muscolarità nei rapporti con alleati ed avversari; per lo scarso rispetto, insomma, per le regole non scritte delle relazioni politiche, interne e internazionali. E poi ci sono le ragioni di sostanza politica, il suo «America first», che lo ha portato spesso a collidere con alleati di lunga data, la sua scarsa sensibilità per una serie di problemi che invece l’agenda politica convenzionale tende a privilegiare, dal problema dell’ambiente a quello delle diseguaglianze, crescenti in America come in ogni parte del mondo. Continua a leggeresu MOKED