Protagonista d’un vecchio libro (meritevole di ristampa) di Giordano Bruno Guerri, ma soprattutto autore in proprio di un’autobiografia appena ristampata da Aragno, Don Ernesto Buonaiuti fu uno dei dodici professori universitari che nel 1931 rifiutarono di giurare fedeltà e sudditanza al regime fascista. Tutti gli altri giurarono, compresi i futuri padri della patria, campioni (a Mascellone morto) di tutte le resistenze, che si autoproclamarono antifascisti a guerra finita, morto e sepolto il fascismo, quando dei dodici che non avevano piegato la schiena si perse opportunamente ogni memoria. Ricordare chi non aveva giurato né baciato la pantofola significava infatti ricordare anche loro, i professori buoni per tutte le stagioni, che dopo aver elevato lodi al regime e scritto DUCE a tutte maiuscole, s’accingevano a rendere lo stesso servizio a Togliatti e Stalìn. Buonaiuti, per la verità, era fuori dell’università già da un pezzo: il Vaticano aveva voluto l’art. 5 del Concordato tra Stato e chiesa, quello che vietava agli ecclesiastici «d’avere impiego o ufficio pubblico senza il nihil obstat del vescovo», proprio per impedire a lui Buonaiuti, sacerdote e titolare della cattedra di storia del cristianesimo a Roma, di diffondere tra gli studenti il suo vangelo modernista, antipapista e riformatore.Continua  a leggere su informazione corretta