Recensione di Gian Antonio Stella

Due paia di calze usate, un bidè, una maglia di lana fuori uso, un paio di ciabatte usate, un paio di pattini a rotelle, una cinghia per pantaloni rotta, una forma per pasticcini, una caffettiera in alluminio, un cappottino per bambino…». La «Gazzetta Ufficiale», ai tempi delle leggi razziali e delle requisizioni dei beni agli ebrei, arrivò ad annotare tutto. E proprio quell’agghiacciante solerzia burocratica, parallela a quella dei pediatri complici di Josef Mengele, toglie il fiato. Lo zelo amorale di quelle mezzemaniche sparse negli uffici pubblici e l’immonda indifferenza di troppi cittadini che non volevano vedere. O si spingevano talora a chiedere perfino una quota del bottino come un certo signor A. M. di Siena che arrivò a scrivere al responsabile provinciale: «Mi risulta (…) che vi sarebbero liberi alcuni appartamenti di proprietà o comunque occupati da ebrei recentemente e giustamente deportati. Domando all’Eccellenza Vostra di assegnarmi uno dei suddetti alloggi, di cinque o sei ambienti…». Un verme. Aggiungeva: «Possibilmente a muri vuoti». Senza il fastidio di smaltire le povere cose lasciate lì da chi era stato smistato ai campi di sterminio. Continua a leggere si IC