Le feste sono sempre state oggetto/argomento d’interesse per studiosi come etnografi e antropologi, perché caratterizzano la cultura di un popolo. Nel passato servivano a organizzare il tempo, l’alternarsi ciclico del giorno e della notte, come anche delle stagioni. Talvolta erano intese come pause dal lavoro produttivo e nel periodo festivo veniva consumato in modo comunitario ciò che si era prodotto nei periodi lavorativi, creando unità.

Sul piano etno-antropologico, studiare le feste di una determinata comunità significa condurre ricerche non solo sulla realtà sociale, ma indagare anche sul suo mondo religioso.

Le feste costituiscono occasioni d’incontro comunitario, di scambio sociale e materiale; alcune segnano passaggi di stato che riguardano l’esistenza individuale dalla nascita alla morte (ciclo della vita).

Fin dall’antichità, tra i popoli che hanno associato al momento festivo un grande significato religioso emerge il popolo ebraico. E’ nel libro di Esodo che per la prima volta si parla di festa; una festa istituita da Dio per il suo popolo.

La festa, in questo caso, segna l’inizio della storia e della cultura del popolo ebraico.

Il popolo ebraico doveva essere purificato dalla violenza e dalla cultura egiziana e doveva essere riorganizzato per dare inizio alla sua storia. La festa diventa quindi l’elemento chiave che consente la rigenerazione del sistema.

Nello scorso raduno Edipi che si è tenuto a Caserta, abbiamo analizzato brevemente alcune feste in cui è forte il concetto di unità biblica, come lo Shabbat, considerata la festa più ricorrente e che si celebra per ricordare l’opera della creazione. Shabbat è considerato un dono prezioso dato dal Signore, un dono che unisce, ancora di più, tutti i figli di Israele, in qualsiasi parte del mondo essi siano. Altre feste in cui è celebrato il concetto di unità sono le tre feste di pellegrinaggio, (Pesach, Shavuot e Sukkoth) in cui tre volte all’anno per ogni ebreo era previsto un pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme per offrire doni o sacrifici. Pesach significa «passar oltre», in ricordo della notte in cui Dio «passò oltre», cioè oltrepassò le case degli ebrei in Egitto contrassegnate dal sangue dell’agnello sacrificato, risparmiandone i primogeniti maschi.

Pesach ricorda l’intervento di Dio liberatore.

Shavuot è la festività che ricorda il dono della Torà sul monte Sinai. I comandamenti sono rivolti dal Signore ad Israele al singolare, infatti, la Torà dice che Israele si era accampato come un solo uomo e con un solo cuore per ascoltare le Sue parole. Proprio nel giorno di Shavuot, come descritto in Atti 2, ci fu la discesa dello Spirito Santo.

Sukkoth è una giornata particolarmente gioiosa, che riunisce il tema religioso con gli elementi dell’agricoltura, ha origine nella Torà e ricorda le capanne dove il popolo d’Israele viveva durante l’esodo nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto. La sukkà, la capanna, è come un abbraccio Divino: quando Dio vede che i Suoi figli sono uniti nonostante le loro diversità, ne gioisce e colma di benedizioni tutto Israele.

Infine, abbiamo analizzato Chanukkah, la festa delle luci, che celebra il miracolo dell’ampolla d’olio ancora pura, trovata nel Tempio, sufficiente per un solo giorno ma che durò otto giorni, che fu ritrovata dagli Asmorei dopo che gli ellenisti avevano profanato il Tempio e trova espressione nell’accensione della chanukkiah per otto sere di seguito. Il miracolo della vittoria dei pochi contro i molti, dei deboli sui forti, degli Asmorei sugli ellenisti che portò alla ri-consacrazione del Tempio. (Chanukkah vuole anche dire Consacrazione). L’elemento comune ai due miracoli è: poco olio fu sufficiente per accendere la chanukkiah per molti giorni così come pochi uomini riuscirono a resistere e a sconfiggere un esercito molto numeroso. Piccole quantità sono a volte determinanti e fondamentali nella vita di tutti i giorni.

Lo scopo di queste feste era quello di mantenere viva nella mente del popolo la storia della salvezza e la comunione con Dio e di promuovere così l’unità nazionale. Per la comunità, le feste sono occasioni per ricordare le origini e la storia del popolo ebraico, opportunità per stare con la famiglia, con gli amici e consolidare relazioni con l’intera comunità e soprattutto sentirsi più in contatto con Dio. Nonostante le numerose difficoltà che il popolo ebraico ha dovuto affrontare nel corso dei secoli per avere la propria indipendenza e il rispetto altrui, esso è riuscito a far sentire la propria voce nell’ambito delle città, delle nazioni attraverso una forte attività culturale, che viene realizzata spesso anche con eventi festivi, rimanendo fermo nei propri principi e valori che sono gli stessi di sempre. Il ruolo svolto dal movimento ebreo-messianico per l’unità del corpo del Messia deve farci riflettere individualmente e sulla base degli esempi festivi su citati, devono incoraggiarci, impegnandoci, a sperimentare le stesse benedizioni nell’applicazione degli stessi, collettivamente.

Una benedizione collettiva che abbiamo sperimentato anche in questi giorni passati assieme, condividendo la Parola di Dio, le testimonianze degli interventi di Dio, offrendo lodi e danze al Signore, sperimentando ancora una volta il Salmo 133 “Ecco, quanto è buono e quanto è piacevole che i fratelli dimorino assieme nell’unità!”.