L’incontro a Roma tra un papa e un rabbino di Marcello Cicchese

L’incontro è evidentemente asimmetrico. Il papa è un capo di stato; il rabbino no. Il papa è il leader di una religione con più di un miliardo di adepti nel mondo; il rabbino non è leader di nessuna religione, ma è soltanto il leader di una comunità religiosa locale di qualche migliaio di aderenti. Sembrerebbe dunque che il maggior onorato sia il rabbino, e che sia lui quello che trae maggiore vantaggio dall’incontro. Forse non è così. Era così nel passato, ma tutto fa pensare che le cose siano cambiate, anzi invertite. E’ stato gia detto da molti che l’incontro di domani sarà diverso dagli altri, ma perché? Le cause indicate sono diverse. Una di queste sta certamente nel differente carattere dei due ultimi papi, che potrebbero essere visti come tipi umani rappresentanti con le loro persone un momento topico dell’inevitabile declino della chiesa cattolica. Ratzinger rappresenta l’ultimo sforzo di difesa teologica dell’istituzione; Bergoglio rappresenta il vecchio-nuovo progetto gesuitico di far navigare la barca cattolica al centro del flusso storico, con l’aspirazione a condizionarne e guidarne in modo decisivo gli eventi. Se per il primo continuava ad essere di una certa importanza quello che si dice di credere, per il secondo è molto più importante quello che si riesce a fare. A questo scopo i solenni rituali di una volta, anche se non possono essere troppo repentinamente aboliti per non averne contraccolpi interni, devono essere gradualmente abbandonati. Pragmatismo ci vuole. Bergoglio lo sa e lo sa fare. Ratzinger no.

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