È stato organizzato, per la prima volta in Puglia, un convegno regionale organizzato da Evangelici d’Italia per Israele, a Corato, in provincia di Bari, che ha affrontato il dualismo tra Giacobbe ed Esaù nei suoi risvolti biblici e la proiezione storica che si è stagliata nei secoli fino ai nostri giorni. Iniziato il 29 aprile venerdì, con la celebrazione di Pesach, in occasione della settimana conclusiva della pasqua ebraica, consumando un tipico pasto pasquale giudaico, attorno ad un’enorme tavolata, tra prodotti caratteristici israeliani e canti ebraici, abbiamo goduto una comunione armoniosa e serena, ma il Signore ci ha riserbato una sorpresa … accanto a noi c’era una comitiva di ebrei venuti in Puglia e stavano commemorando lo shabbat, si sono uniti a noi, abbiamo cantato e parlato insieme, momenti di convivialità e di gioia, quando ci siamo salutati, a notte inoltrata, ci hanno detto che non avrebbero mai dimenticato questi momenti e che avrebbero raccontato, al ritorno in Israele, del nostro incontro, accoglienza e amore, todà laEl!

Rino Bevilacqua con le sue note e con la sua voce, ci ha deliziati trasportandoci nell’atmosfera gioiosa e festosa dei canti ebraici, tra una sessione e l’altra dei diversi relatori intervenuti al convegno.

La prima relatrice che è intervenuta, è stata la dott.ssa Nicla Costantino ed ha relazionato su: Giacobbe ed Esaù; ovvero il paradigma del rapporto tra Israele e le nazioni. Analizzando i brani del racconto biblico ed alcuni importanti lemmi del linguaggio ebraico, ha esposto il rapporto tra Giacobbe ed Esaù, ovvero tra Israele e le nazioni. La storia dell’incontro tra Giacobbe ed Esaù non è un semplice incontro tra fratelli, ma rappresenta il paradigma del rapporto tra il popolo di Israele (il nome che Giacobbe prende dopo la lotta con l’angelo) e le altre nazioni, descrivendo una situazione a cui generazioni di ebrei si sarebbero poi riferite per relazionarsi con altre culture e religioni: un uomo solitario, un sogno incandescente, un conflitto. Due fratelli, due destini. Legati e separati dalla notte. Il luogo: uno qualunque, in quella terra lontana che oggi chiamiamo Giordania. Giacobbe la chiamò Mahanaim, il luogo in cui separò i suoi due gruppi, affinché, se uno doveva perire, l’altro sopravvivesse. Tormentato, combattuto, piegato sotto il fardello dei ricordi, Giacobbe appartiene a Israele, proprio come Israele fa parte di Giacobbe. Giacobbe è cosciente del pluralismo che segnerà i suoi discendenti. Dio gli ha dato la possibilità di vedere più dei suoi predecessori e più lontano dei suoi successori, escluso Daniele. Ospite speciale, dall’Inghilterra il dr.

Mark Surey, consulente teologico dell’associazione EDIPI. Mark ha parlato su “Perchè Giacobbe?”e “Israele e le Nazioni”. Esaù è una metefora simbolica del tormentato rapporto tra Israele e le nazioni. L’abbraccio ambiguo di Esaù in questo senso corrisponderebbe all’ambiguità che spesso troviamo in una sorta di strano filo ebraismo, o nella volontà di mostrarsi amici degli ebrei a tutti i costi, che talvolta viene mostrata da movimenti politici o religiosi lungi dall’essere al di sopra di ogni sospetto. Come Giacobbe, bisognerebbe essere prudenti quando si viene abbracciati con troppe lacrime o troppo entusiasmo. Esaù viene identificato dalla Torà come Edom, progenitore della civilizzazione romana e padre di Elifaz, che genererà Amalek, progenitore, a sua volta, di un popolo acerrimo nemico di Israele.

Il presidente di EDIPI, pastore Ivan Basana, nel primissimo pomeriggio ha argomentato la sessione pomeridiana su “Geopolitica del quadrante medio-orientale alla luce della parola di Dio”. È una storia di grandi passioni e grandi dolori che lega il popolo ebraico alla Terra di Israele. Una storia indissolubile dalla sua stessa esistenza, che inizia in Mesopotamia, a Ur, migliaia di anni fa con Abramo, il primo patriarca il destino ebraico non può essere disgiunto da questi luoghi, perché pr il popolo di Israele è necessario avere un corpo. La santità del popolo infatti si completa solo quando il mondo spirituale si congiunge alla vita naturale e soltanto lì dimotr la presenza divina, solo lì la profezia si realizza. Quando nel 1948, il 5 di Iyar, Ben Gurionebbe finito di leggere la Dichiarazione di Indipendenza del neonato Stato di Israele, Rabbì Ha-Cohen Maimòn, uno dei firmatari della Dichiarazione stessa, si alzò in piedi e pronunciò la benedizione di Sheecheinu che si dice per le cose e gli avvenimenti nuovi, benedizione nella quale si ringrazia il Signore per averci fatto vivere e partecipare ad una situazione che è per noi fonte do gioia inaspettata. Si tratta, dal pnto di vista della tradizione, del riconoscimento della miracolosa sopravvivenza ebraica e della realizzazione i quello che era stato il sogno di decine di generazioni. L’esistenza dello stato di Israele ci pone di fronte a nuove domande: chi è l’ebreo diasporico oggi? Il rifondarsi dell’ebraismo come nazione-Stato attraverso la realizzazione politica del sionismo ne accentua il carattere particolaristico o universalistico? Oggi Israele è lo Stato ebraico, Lo Stato degli Ebrei o lo Stato degli Israeliani? La rinascita di Israele come Stato costituisce una sfida all’ebraismo, caratterizzato non solo da fede e valori comuni, ma anche da un sistema normativo-laHalakà- che si è articolato nei secoli nell’ottico di un popolo ebraico impossibilitato di fatto, ad assumere funzioni socio-politiche indipendenti. La leadership e i vari circoli israeliani e diasporici hanno saputo far fronte a questa sfida, elaborando, in assenza di un pensiero politico tradizionale, modelli nuovi e funzionali? Il rapporto tra politica e religione, tra Stato e Halakà, tra democrazia ed etica ebraica, permea l’identità non solo di Israele, ma di tutto il popolo ebraico, in Eretz Israel e nelle diaspora, ed è compito degli Ebrei definirne l’essenza e le caratteristiche. Lo Stato di Israele ci ripropone, quindi, l’incessante dialettica che accompagna il destino del popolo ebraico, dove la storia si incontra con lo spirito, l’immanente con il trascendente, il tempo delle lacrime con il tempo della gioia.

Il dott. Giovanni Tortora, ha seguito il presidente Ivan Basana, relazionando su “Amelek e le Nazioni”. Amalek Figlio di Elifaz primogenito di Esaù e della concubina Timna, una Hurrita appartenente ad una tribù il cui territorio si erano impadroniti i discendenti di Esaù. Capo di una tribù edomita, Amalek era uno degli sceicchi di Edom, fu la prima popolazione che attaccò il popolo d’Israele nel momento in cui si accingeva a diventare una Nazione. Un odio antico fu la ragione che lo spinse ad attaccare gli Israeliti, nonostante il terrore ed il timore dell’Eterno fosse sceso su tutti i popoli a causa delle prodezze di Dio. La vittoria su Amalek fu raggiunta da una completa coesione e sinergia dell’intero popolo di Dio, dalla continuazione dello Spirito dell’Eterno Dio dalla guida di Mosè a Giosuè, mentre la sua presenza spirituale ancora non completamente cancellata, costituisce la mancanza di pace ad oggi sulla terra di Israele, in quanto dopo Giosuè sorse un’altra generazione che non conosceva l’Eterno, né le opere che egli aveva compiuto per Israele, allontanandosi da Dio e dal Timore della sua presenza. L’azione di persecuzione fraterna religiosa nel popolo Ebraico, a sua volta subirà dei profondi cambiamenti nel corso della storia nuovo testamentaria, in quanto diventerà l’atteggiamento dell’odio e repressione dei popoli cristiano-cattolici, nei confronti degli Ebrei rimasti nell’incredulità della rivelazione del Cristo restando legati alla fede ed alla tradizione vecchio testamentaria. Infatti, con l’avvento dell’imperialismo romano cattolico, si assiste ad un sostanziale mutamento del Diritto Pubblico Romano, che poneva in tema religioso il principio della tolleranza tradotto nella pacifica convivenza degli Dèi fra di loro: “infatti se gli Dèi vivono in tal modo, anche i popoli dell’impero potevano vivere la religione secondo i costumi religiosi nazionali, tollerandosi a vicenda”. Con il cattolicesimo dunque, si introduce il principio di intolleranza religiosa mascherato attraverso l’esclusivismo della “Religione di Stato”, attuato mediante il sincretismo religioso che cristianizzando i culti pagani, rendeva il cattolicesimo l’universalizzazione religiosa dei diversi popoli dell’impero: un impero troppo esteso per un popolo diverso, unificato e dominato dalla “Religione di Stato” sotto l’autorità del Pontefice, risultato dalla fusione dell’autorità dell’Imperatore di Roma e dell’autorità del Vescovo di Roma.

Il convegno è terminato domenica. Coloro che hanno partecipato sono stati grandemente benedetti e sono stati arricchiti di nuove rivelazioni, che prima non conoscevano, come loro stessi hanno testimoniato alla scrivente. Voglio ringraziare Dio, che nonostante alcuni problemi, ha guidato e benedetto l’intera conferenza e tutti gli intervenuti. Prego che Egli possa trasformare la vita di ognuno di noi come piace a Lui, secondo il Suo piano, non secondo ciò che è di nostro gradimento: “dacci un giusto intendimento della Tua parola a proposito del Tuo popolo Israele. Aiutaci a capire che stiamo combattendo Te, quando ci opponiamo ai Tuoi piani divini.

Dacci uno spirito di ammaestramento e concedici la grazia di cambiare ciò che dobbiamo nel nostro modo di pensare. Amen”