Solo una spinta imprescindibile, una necessità morale dettata dalla storia, poteva ispirare quaranta anni fa, il quattro di luglio, un’azione come quella che Israele osò condurre a 3500 chilometri di distanza dai propri confini, a Entebbe, in Uganda, per salvare i 106 ostaggi imprigionati nel terminal dell’aeroporto da un commando palestinese-tedesco. Forse si tratta del gesto più impossibile che sia invece mai stato realizzato da un Paese per affermare un principio salvando più di cento vite umane. Il commando di soldati israeliani che colpi l’operazione contava cento ragazzi divisi in squadre, di cui la prima all’assalto era guidata da Jonathan Netanyahu, il fratello dell’attuale Primo Ministro. “Yoni” fu l’unico soldato ucciso durante l’Operazione Entebbe, chiamata poi operazione Jonathan. L’obiettivo: piombare di sorpresa al salvataggio degli ebrei prigionieri del commando terrorista, scardinando per sempre la norma per cui gli ebrei sono facile preda della follia antisemita che sotto forme diverse si accanisce su di loro nel corso della storia senza che nessuno reagisca. Due membri del gruppo palestinese di Wadie Haddad, insieme a un uomo e una donna tedeschi, Wilfried Bose e Brigitte Kuhlmann membri della banda comunista Baader Meinhof, sequestrarono il volo Air France 139 da Tel Aviv a Atene e Parigi. I terroristi salirono a Atene, armati di pistola e bottiglie molotov nascoste in scatole di caramelle e in una falsa bottiglia di champagne. Bose, che aveva pernottato all’Hotel Rodos, una volta penetrato con le armi nella cabina di pilotaggio mentre i suoi compagni tenevano sotto la minaccia del fuoco i 246 passeggeri, si dichiarò il nuovo comandante del volo nella mani, disse, della “Che Guevara Force” e gli dette il nome “Haifa”.

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