di Daniel Pipes The Washington Times

Roma – Quando si pensa ai migranti e all’Islam, l’Italia non è un paese che viene in mente. Al contrario dei suoi vicini nordeuropei, l’Italia non ha avuto un miracolo economico che richiedesse l’importazione massiccia di manodopera. Non ha un legame profondo con grandi fonti di immigrazione, come l’Asia meridionale per la Gran Bretagna. Non è stata colpita da gravi atti di violenza di matrice jihadista come la Francia. A differenza della Svezia, non si sente parlare di folle acquiescenza e contrariamente al Belgio non esistono “no-go zones” parziali. Diversamente dai Paesi Bassi, non è emerso nessun politico dichiaratamente anti-islamico paragonabile a Geert Wilders e, a differenza della Germania, nessun partito anti-immigrazione è diventato una forza politica rilevante. Ma come le sue controparti nordeuropee, l’Italia merita attenzione perché sta subendo massicci cambiamenti. Cambiamenti che forse sono ancor più pressanti, profondi e negati che nei paesi meglio conosciuti. Innanzitutto, c’è la geografia. Non solo il famoso “stivale” dell’Italia si staglia nel Mar Mediterraneo, rendendo il paese una destinazione allettante per i migranti illegali che arrivano via mare, ma il territorio italiano si estende verso il Nord Africa: la piccola isola di Lampedusa, con una popolazione di 6 mila persone, si trova a soli 113 km dalle coste della Tunisia e a 300 km da quelle della Libia. Nel 2016, sono entrati in Italia 181 mila migranti, quasi tutti illegalmente, quasi tutti via mare.

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