Il nuovo anno inizia nel segno della rivolta contro il carovita in Iran, che ha tre risvolti: testimonia la forza indomabile di un popolo antico, evidenzia l’entità dei cambiamenti in atto in Medio Oriente e mette a dura prova i leader dell’Occidente. Le proteste iniziate giovedì a Mashad nascono dallo scontento per l’aumento del costo della vita dovuto alla necessità della Repubblica islamica di finanziare gli interventi militari in Siria, Iraq, Libano e Yemen a sostegno di milizie sciite strumento del disegno di estendere l’egemonia iraniana sull’intero Medio Oriente. Si tratta del cuore stesso del regime, perché tale imponente apparato militare e di intelligence è incarnato dai Guardiani della Rivoluzione, che rispondono direttamente alla Guida Suprema della Rivoluzione, Ali Khamenei, e gestiscono anche gran parte delle risorse economiche nazionali senza troppo curarsi delle altre istituzioni della Repubblica islamica, a cominciare dal governo del presidente Hassan Rohani. Il fatto che gli iraniani, oggi in gran parte nati dopo la rivoluzione khomeinista del 1979, abbiano la forza, l’energia e il coraggio di contestare il nucleo duro del regime degli ayatollah, al suo apogeo militare ed oramai privo di una reale opposizione politica interna, lascia intendere quanto siano radicati, estesi, condivisi i principi di libertà personale e rispetto per i diritti individuali. A quasi 40 anni dall’avvento della teocrazia degli ayatollah negli iraniani resta intatta la voglia di libertà che li portò a rivoltarsi contro la dittatura dello Shah, e ciò suggerisce alle democrazie la necessità di mostrare a questo popolo antico tutto il rispetto che merita.

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