Ebraismo ed evangelici non hanno più la salda relazione di un tempo. Sul fronte cristiano il ricambio generazionale apre delle crepe in quello che un tempo era un sostegno marmoreo e senza incertezza, provocando disagio e risposte dalla dubbia efficacia.
Chi lo avrebbe mai detto che il ministero degli Esteri israeliano se la sarebbe presa con una conferenza convocata da un’organizzazione evangelica al Bible College di Betlemme definendola uno strumento all’incitamento contro Israele? Eppure è proprio quello che è successo nei giorni scorsi, e il suo portavoceYigal Palmor ha aggiunto che Christ at the Checkpoint è usata per manipolare la fede religiosa per interessi politici. Che poi vuoi dire interessi politici sgraditi, perché fino a quando gli evangelici sbarcavano in torme adoranti la manipolazione della loro fede religiosa a sostegno d’Israele andava benissimo.
Secondo gli organizzatori la conferenza che si è chiusa venerdì scorso mirava invece ad aiutare a risolvere il conflitto israelo-palestinese sulla base degli insegnamenti di Gesù, esplorare le sfide che pone il processo di pace e discutere «le implicazioni pratiche e teologiche dell’inaugurazione del regno di Dio sulla terra», ma anche «discutere le realtà e le ingiustizie nei Territori palestinesi». E qui gli israeliani proprio non ci vogliono sentire,ma nei 12 punti del manifesto della conferenza, che si tiene da qualche anno ce ne sono altri d’indigesti per Tel Aviv, come il rifiuto della Bibbia come titolo di proprietà della terra o la discriminazione razziale, che secondo gli evangelici più moderni in Israele c’è. C’era un tempo nel quale Bush e Netanyahu bombardavano con il pieno consenso degli evangelici, che era nettamente pro-Israele, oggi invece la maggioranza degli evangelici si pensa equidistante tra le due parti e solo un terzo si può riconoscere ancora in quella definizione di «cristiano sionista» un tempo maggioritaria. C’è da sapere che non era solo per astio verso i perfidi maomettani o per l’amore per l’ebraismo dal quale è sbocciato il cristianesimo, che gli evangelici facevano un tifo tanto convinto per Israele, ma anche per questioni prettamente teologiche, perché attendono il grande conflitto in medioriente che porterà al giorno del giudizio e al ritorno del Messia, e quindi un’Israele guerriera è condizione acconcia alla profezia attesa.
Lo zoccolo duro del bushismo si è diluito con gli anni e i fallimenti dell’estremismo crociato alla Casa Bianca, i nuovi predicatori sono più glamour dei vecchi guerrieri come Pat Robertson, meno vicini ai neoconservatori ormai in immersinoe e decisamente inclini a celebrare l’amore cristiano più che la pugna contro l’infedele, tanto che in molti hanno trovato una causa proprio nelle triste condizione dei palestinesi e ora ci sono organizzazioni evangeliche che portano i fedeli a vedere come stanno i palestinesi. E i fedeli tornano a casa sconvolti raccontando l’apartheid dei palestinesi. Impensabile fino a qualche anno fa, quando la maggioranza delle chiese evangelica aderiva alle iniziative di organizzazioni d’ispirazione diversa come Christians United for Israel (CUFI), che quando gli israeliani bombardano Gaza invita i fedeli a pregare per il successo dei bombardamenti. Assai poco cristiano per i nuovi predicatori e anche per i loro fedeli. Una deriva che si è già vista in precedenza nelle chiese protestanti e che mette in difficoltà Israele tra i cristiani americani, visto che con i cattolici non è mai stato amore e che i presbiteriani sono da tempo impegnati nella promozione del boicottaggio dei prodotti israeliani.
Così si sono allarmati in Israele e si sono allarmati quelli della CUFI, che si sono posti pubblicamente ed esplicitamente il problema di come bloccare questa deviazione dall’antica dottrina, anche se come tempismo ormai siamo al chiudere la stalla dopo che la maggior parte dei buoi sono scappati. La CUFI è molto attiva nella promozione degli interessi israeliani tra gli evangelici e medita una campagna d’allarme tra i fedeli, il rimedio consisterebbe insomma nel metterli sull’avviso in modo che non prestino orecchio agli eretici che non vogliono sostenere Israele senza se e senza ma. Come strategia, vista da lontano, non sembra proprio l’asso di briscola, soprattutto considerando che si tratta di una strategia difensiva, che mira a difendere quel che rimane e non aspira nemmeno a un recupero a breve del terreno perduto. Obiettivo evidentemente ritenuto inavvicinabile in presenza di un chiaro trend di segno contrario e a un’evoluzione demografica che ha mutato il profilo dei fedeli, ma soprattutto quello di un buon numero di predicatori.
Un problema ulteriore che s’affaccia all’orizzonte è che per quanto il nuovo messaggio evangelico cerchi di posizionarsi sul filo dell’equidistanza tra israeliani e palestinesi, tra certi bravi cristiani al calare dell’islamofobia potrebbe fare da contraltare una crescita dell’antisemitismo, perché pur sempre di confronti tra religioni e presunte vere volontà di Dio si tratta e anche perché l’antisemitismo non è mai stato un’esclusiva dei cattolici tra i cristiani e anche negli Stati Uniti è sempre esistito, anche dopo essere stato espulso dal discorso pubblico dopo la disfatta nazista. Un fenomeno noto, già visto fiorire di recente anche ai margini della crisi ucraina, dove dall’una e dall’altra parte si accusavano misteriosi complotti ebraici come origine del disastro, gli ortodossi sono forse i campioni cristiani d’antisemitismo e ancora oggi c’è un buon numero di pope che non si tirerebbe indietro se ci fosse da benedire un pogrom in difesa di Santa Madre Russia e della sua chiesa.
Il problema maggiore per Israele è comunque localizzato negli Stati Uniti, perché il franare del sostegno tra gli evangelici indebolisce la causa d’Israele all’interno del partito repubblicano, ma anche la politica estremista e annessionista di Netanyahu, che attualmente in Israele non trova opposizione significativa, ma che non può prescindere a lungo dal consenso americano. Netanyahu continua invece a trattare a pesci in faccia Obama, convinto che una rottura dell’antico patto non sia possibile, ma probabilmente questo modo d’agire paga ora, ma in futuro è destinato a presentare un conto interessi molto salato. Un atteggiamento del genere ha già alienato a Netanyahu e alla destra israeliana il sostegno di molti ebrei americani che aiutano Israele, ma che si sentono americani ed è facile immaginare che con gli evangelici le sue risposte sprezzanti avranno ancora meno successo. Forse è giunto il momento per Tel Aviv di fare di necessità virtù e di adeguarsi ai tempi, aggiustando sia il registro comunicativo che rinfoderando certe pretese, ma per il momento è difficile intravedere tracce di ripensamento in una classe politica che viene da almeno quindici anni nei quali ha potuto fare quello che ha voluto contando sul sostegno cieco e sicuro di Washington
(Art. tratto da mazzetta.wordpress.com)
Commento:
Che il rapporto tra ebrei e cristiani sia sempre stato ad alta tensione(con
qualche eccezione) non è una novità, ma non è di questo che voglio parlare…
Non so voi ma io mentre leggevo quest’articolo, di tal “Mazzetta” , non ho
potuto proprio fare a meno di notare il tentativo da parte dell’autore, di
delegittimare Gerusalemme da capitale dello Stato ebraico, ma d’altronde non è
l’unico; I quotidiani nazionali e Tg vari usano in continuazione frasi come:
“il Governo di Tel Aviv”, “da Tel Aviv la replica di Netanyahu”. Queste amnesie
di comodo di certi personaggi antisionisti fino alle midolla io non le gradisco
affatto e spero che prima o poi Lorsignori vengano folgorati da un pò di onestà
e si decidano a lasciare la Knesset(parlamento israeliano) esattamente lì
dov’è: a Gerusalemme, capitale unica e indivisibile dello Stato ebraico.
(commento si Sabrina Messina)