di Ugo Volli

Cari amici, posso dire sommessamente che sono deluso? Con tutta la cortesia, senza alcuna volontà di mancare di rispetto, molto deluso? Sto parlando della visita del Papa in quella che ci si ostina a chiamare Terra Santa: Giordania, Palestina e Terra Santa, come si leggeva spesso – e, diciamolo chiaramente, è un modo per non nominare Israele, per aderire al boicottaggio e alla delegittimazione anche verbale dello stato ebraico (http://www.francolondei.it/papa-francesco-in-israele-terra-santa-po-corrette-definizioni/ ).

Provo a spiegarvi il perché di questa delusione, partendo dal fondo, da quell’invito a Peres e Mahmoud Abbas a venire “a casa mia” a “pregare per la pace”, naturalmente accettato, che è stato descritto dalla stampa non si capisce bene se ignorante o adulatrice come “un trionfo della diplomazia vaticana”. In realtà non è nulla. Non solo perché le preghiere e la diplomazia purtroppo hanno poca relazione (e certo la preghiera non è la passione dominante dei due politici e comunque a Santa Marta né l’uno né l’altro possono pregare davvero secondo le regole delle loro religioni). Ma soprattutto per ragioni politiche. Peres è in scadenza. Fra un paio di settimane sarà eletto il suo successore, il mandato finirà fra circa un mese. Inoltre la presidenza israeliana è una carica solo cerimoniale, Peres ha cercato di darle forza secondo un progetto politico, ma senza successo, dato che il suo partito è fuori dal governo e la sua linea politica è respinta da tempo dalla maggioranza dell’elettorato. Diciamo che è un buon nonno cui gli israeliani vogliono bene, ma che in famiglia non conta più. Inoltre è noto che Peres e Abbas si sono incontrati parecchie volte in segreto negli ultimi anni (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/146713).

Di recente è uscita la notizia che Peres rivendica di aver trovato tre anni fa una proposta d’accordo, che però fu giudicata inadeguata dal governo (http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Peres-Netanyahu-nixed-agreement-with-Palestinians-that-reached-final-stages-three-years-ago-351467).

Si aggiunga che i rapporti fra Israele e l’Autorità Palestinese sono bloccati in attesa di sapere se si concluderà davvero – il termine era la settimana scorsa – l’accordo annunciato per un nuovo governo con Hamas, che per conto suo continua a ripetere che non ha la minima intenzione di rinunciare al terrorismo o di cedere il controllo delle sue milizie (http://www.gatestoneinstitute.org/4324/hamas-unity-terrorism-west-bank ).

Ancora una decina di giorni fa, Tzipi Livni, che oggi ha certo più potere di Peres, ha incontrato a Londra Abbas, contro la decisione del consiglio dei ministri di sospendere le relazioni, e Netanyahu ha dichiarato che in questo caso la ministra rappresentava solo se stessa, non Israele e ha minacciato di licenziarla dal governo (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/180904).

Quindi figuratevi quel che conta per il processo di pace un “incontro di preghiera” in cui Israele sarà rappresentata da un pensionato senza l’accordo del governo e del parlamento. Fin qui la dimensione diplomatica. I giornalisti che si occupano anche solo un po’ del Medio Oriente sanno benissimo queste cose; il fatto che non ne abbiano parlato la dice lunga sulla serietà della stampa che segue il Papa. Dal punto di vista della politica reale, dunque il viaggio non ha avuto grandi risultati visibili, c’è stata solo un po’ di esibizione di buona volontà o se volete di propaganda. Del resto è ragionevole che sia così: il Papa è un leader religioso, è difficile credere che possa per incanto risolvere la più intricata questione politica oggi sul tappeto. Dei risultati religiosi della visita non sono in grado di giudicare, e non voglio entrare in merito, data la mia estraneità al cristianesimo. Ma la delusione più grande è per l’aspetto simbolico e comunicativo della visita. Il Papa ha detto messa in piazza a Betlemme, avendo sullo sfondo un grande telo in cui si vedeva un Bambin Gesù coperto da una kefiah palestinese. Gesù palestinese ? E’ una sciocchezza storica; i Vangeli rivendicano fortemente la discendenza ebraica di Gesù, anzi la sua genealogia dalla famiglia di Re Davide (Matteo 1, 1-16; Luca 3,23-38); nel tempo della sua vita e per molti secoli prima e dopo non c’erano ancora arabi in Terra d’Israele (sarebbero arrivati da invasori solo nel settimo secolo); il nome Palestina non era affatto in uso. Figuriamoci la kefiah. Non si tratta di una semplice adesione nazionale alla visita, anche perché il 96% dei sudditi dell’Autorità Palestinese è islamico e più o meno ostile al cristianesimo, come tutto l’Islam (http://www.youtube.com/watch?v=a9HU0ZJTeVw);

è una campagna di falsificazione storica che va avanti da molti anni allo scopo di negare il rapporto degli ebrei con quella terra, cosa che non aveva osato neanche Hitler; e per inventarsi della radici per un popolo inventato negli anni Sessanta, per l’appunto i “palestinesi”, mai considerati prima d’allora una realtà distinta dalla nazione araba. La menzogna spudorata di un Gesù palestinese (https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=e30HqbciwHc ) fa parte da tempo di questa propaganda, come ne fa parte l’accusa di Abbas di “giudaizzare” Gerusalemme, a cui il Papa non ha risposto (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/181001#) .

L’apparato papale non ha protestato neppure per l’uso spudorato di Gesù nella propaganda politica palestinista. Come non ha protestato per i grandi teloni in cui erano esposti sulla piazza dei fotomontaggi che inserivano in quadri di soggetto religioso degli arabi al posto delle vittime e degli israeliani al posto dei carnefici. Io non me ne intendo, ma a me sembrano vere e proprie bestemmie. (http://www.rightsreporter.org/forums/topic/le-offese-palestinesi-a-gesu/)

Anche qui nessuna reazione. La ragione si vede chiaramente leggendo il discorso che il patriarca latino, cioè, se non sbaglio, il capo dei cattolici locali, ha rivolto al Papa durante la visita a Betlemme. Il punto culminante è l’esplicita attribuzione allo Stato di Israele, come “occupante”, della qualificazione di “Erode” (http://elderofziyon.blogspot.it/2014/05/latin-patriarch-tells-pope-that-israel.html#.U4Q6ofl_uAU).

Ora l’Erode di cui si parla è quel re di origini idumenee che con l’appoggio dei romani comandava su Israele in quel tempo e fra l’altro represse duramente i farisei, (c’è un problema di cronologia, ma non ne discuto qui), di cui il Vangelo racconta che avrebbe ordinato la strage di tutti i bambini per paura dell’avvento del Messia (che, ricordiamocelo, nella comprensione di quel tempo era innanzitutto destinato a essere il re di Israele e per questo titolo politico patriottico i romani condannarono e giustiziarono Gesù). Dire che Israele è Erode è attribuirgli la strage degli innocenti; rinnovare cioè la calunnia del sangue, che per secoli ha tanto fatto male gli ebrei (e con le tante persecuzioni che ne seguirono, bisogna dirlo, è una delle colpe più orribili della Chiesa nei confronti del popolo ebraico). A questa calunnia antisemita, appena velata ma chiarissima per chi conosce un po’ il Vangelo, il Papa non ha affatto reagito denunciandone il veleno, ma ha ripreso lo stesso termine annacquandolo: siamo come Erode che respinse Gesù, ha chiesto, o come i pastori che lo accolsero? E’ una mossa caratteristica del modo di fare del Papa, che cerca di volgere tutto in positivo ma non distingue e non chiarisce: insufficiente a frenare la calunnia. Come il gesto di parlare di pace al muftì dell’Autorità Palestinese che di recente ha fatto appello all’omicidio di tutti gli ebrei (http://palwatch.org/main.aspx?fi=157&doc_id=11466).

Come la simmetria anche visiva, che io personalmente ho trovato piuttosto insultante, fra la preghiera davanti alla barriera di sicurezza e quella davanti al Kotel (il “muro del pianto”) e perfino davanti alla tomba di Herzl, che è stata sottolineata come se fosse particolarmente significativa, ma agli israeliani non dice granché. Parliamo della barriera di sicurezza, ignorando il fatto che il Papa sia stato condotto davanti a un punto dove erano state apposte scritte (guarda un po’ in inglese, ad uso delle telecamere) che paragonavano Betlemme addirittura al Ghetto di Varsavia (http://www.algemeiner.com/2014/05/25/pope-prays-before-slogan-comparing-bethlehem-to-warsaw-ghetto-jewish-group-calls-for-reflection-at-yad-vashem/).

E’ un paragone insensato, visto che Betlemme non è affatto un luogo chiuso, come cercano di suggerire i palestinisti: ha continuità territoriale, collegamenti stradali e libertà di movimento col resto dei territori “palestinesi”. Ma soprattutto Betlemme non è un luogo di deportazione, né perché vi si accumuli popolazione che venga strappata alla sua vita, né perché vi partano convogli della morte, come quelli che svuotarono il Ghetto nel 43-44; a Betlemme non c’è la fame, non ci sono i nazisti, è una cittadina autogovernata dall’Autorità Palestinese in cui il solo problema è che i cristiani sono repressi e gradualmente sostituiti dai musulmani. Ma il problema principale è un altro. Perché è stato eretto quel muro? Per evitare che i terroristi sparassero addosso alle macchine e alle case degli israeliani, e che i terroristi suicidi passassero liberamente per i campi col loro giubbotto esplosivo per andare ad ammazzarsi in bar, autobus, luoghi di preghiera, mercati, come una dozzina di anni fa facevano regolarmente. E infatti da quando la barriera funziona, il terrorismo è diminuito radicalmente. Dunque la barriera serve a salvare vite umane. Quando è un muro (il 5% della lunghezza, il resto è una rete metallica come quella che divide i campi, solo vigilata da sensori) è simile per forma e dimensione a quella che tutela la sicurezza della città del Vaticano (solo che per via della modernità è in cemento invece che in mattoni): chi vuole ammirarla in tutta la sua imponenza vada a Roma in Via Leone IV o in Viale Vaticano. Con la differenza che non vi sono attentatori suicidi che cerchino di farsi esplodere nei giardini vaticani, mentre ce ne sono, eccome, che aspirerebbero ad andare nel paradiso islamico con le settenta vergini promesse, passando per un’esplosione in un bel supermercato, portandosi dietro una ventina di infedeli. Anche grazie all’incitamento dell’Autorità Palestinese (http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Netanyahu-Security-barrier-saves-lives-anti-Israeli-incitement-makes-it-necessary-354388), che coi suoi media non smette di esaltare i terroristi e di pagare gli stipendi a quelli che sono in carcere (con soldi europei, che vengono in definitiva dalle nostre tasse).

Non sappiamo che cosa abbia pensato Francesco con la fronte appoggiata alla barriera di sicurezza. Certo non ha detto la sola cosa giusta: che quella barriera è una conseguenza del terrorismo, che è buona perché salva vite umane, che sarebbe auspicabile abbatterla e sarà facile farlo quando non vi sarà più terrorismo. Non l’ha detto, è stato zitto, chissà forse non l’ha neppure pensato, forse crede davvero quello che gli hanno detto, che si tratta del muro dell’apartheid. Già, l’apartheid non fra etnie e religioni, che in Israele non esiste, ma quella fra assassini e vittime, il muro dietro cui si difende chi non vuole che i propri figli siano ammazzati da un esaltato che neppure li conosce. Forse ha creduto di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, andando a visitare il giorno dopo il memoriale dei tremila ebrei ammazzati dal terrorismo. Ma un gesto non compensa l’altro. Se la barriera fosse abbattuta, come vogliono i palestinisti, quei tremila diverrebbero quattro, cinquemila nel giro di poco. E se i disegni politici resi espliciti dal muftì che il Papa ha trattato amichevolmente fossero realizzati, sarebbero milioni. Potrei andare avanti a lungo, ma mi fermo qui. Sono deluso, molto deluso. Mi aspettavo che a molte domande non ci fossero risposte, non pensavo che il Papa potesse esprimere quell’appoggio a Israele che è la sola strada vera per la pace e sarebbe anche la chiusura vera di millesettecento anni di persecuzioni. So che vi sono dei limiti a quel che un Papa può fare. Ma speravo che Francesco, uomo mite ma coraggioso, non si facesse strumentalizzare dalla propaganda di parte. Invece non ha opposto resistenza, non ha introdotto nel discorso quel principio di responsabilità e quel rispetto della verità storica che i palestinisti rovesciano ogni giorno. Si è lasciato usare. Non cambierà molto, solo un po’ di carburante in più a una macchina propagandistica che non si ferma mai, che coglie ogni occasione per cercare di distruggere Israele e gli ebrei. La terza fase della guerra degli arabi contro Israele, dopo le guerre con gli eserciti e il terrorismo di massa. E il Papa si è prestato a farsi usare come un’arma in questa guerra. Ecco, voglio dire solo questo: sono deluso.

Art. tratto da informazione corretta