Bagdad si infuria, ma le sue minacce sono armi spuntate perché ha sempre boicottato
Israele Un carico di petrolio curdo che ha navigato per settimane nel Mediterraneo alla ricerca di un acquirente ha infine trovato un paese che lo importerà. Lo ha riferito un reportage della Reuters da Londra. La petroliera Altai battente bandiera liberiana è attraccata venerdì scorso ad Ashkelon (Israele) e prima di sera aveva iniziato a scaricare il milione di barili di petrolio che aveva a bordo, prodotti nelle regioni curde dell’Iraq settentrionale. Ormai da molti mesi i curdi estraggono petrolio dai pozzi sotto il loro controllo, nel nord dell’Iraq. Il petrolio viene poi convogliato al porto di Ceyhan, nella Turchia meridionale, ma il governo iracheno sostiene che quel petrolio appartiene all’Iraq e può essere venduto solo attraverso il Ministero del Petrolio di Bagdad. Per anni i curdi hanno cercato di raggiungere un accordo con il governo centrale di Bagdad sulle quote e la condivisione dei ricavi. Essi si considerano proprietari dei giacimenti che si trovano nella regione curda e, in mancanza di un accordo, si ritengono autorizzati a vendere il petrolio a qualsiasi acquirente. Lo scorso maggio i curdi hanno fatto un passo ulteriore quando hanno preso in leasing due navi cisterna, le hanno caricate a Ceyhan e si sono messi in cerca di acquirenti. I tentativi di vendere il petrolio al Marocco e ad altri paesi sono stati respinti in solidarietà con il governo centrale dell’Iraq e per timore di ritorsioni legali. Ora sembra che i curdi abbiano (tacitamente) riscoperto il loro vecchio alleato Israele, che ha accettato di acquistare il loro petrolio. Per evitare una vendita diretta, la petroliera curda ha trasferito il carico su un’altra nave cisterna. In effetti, le partite di petrolio cambiano spesso di mano più volte prima di raggiungere la destinazione finale. Al momento non è ancora chiaro se l’acquisto costituisca un evento isolato o l’inizio di un arrangiamento duraturo. Il Ministero del Petrolio di Baghdad ha condannato “fermamente”, sabato, il Kurdistan iracheno per le esportazioni di greggio dai pozzi della regione settentrionale autonoma “in flagrante violazione dei valori e dei principi del paese”, e ha ribadito la minaccia di adire azioni legali contro qualunque compagnia che accettasse il petrolio di queste vendite definite “illegali”. Il governo regionale del Kurdistan a Erbil respinge tali addebiti. Le autorità curde hanno smentito una vendita a Israele, ma una fonte governativa ha detto che loro non hanno problemi a vendere a Israele. La fonte ha preferito non indicare il prezzo né se siano state collocate altre ordinazioni. “Siamo orgogliosi di questo traguardo importante – si legge in una nota, postata sabato mattina sul sito web del governo regionale curdo – conseguito nonostante quasi tre settimane di intimidazioni e interferenze infondate da parte di Bagdad contro i proprietari delle navi cisterna e i relativi operatori e acquirenti internazionali”. L’indipendenza dei curdi è sempre stata osteggiata e repressa dai paesi in cui si trovano (Iraq, Iran, Siria, Turchia). Garantire la prima vendita di petrolio attraverso il proprio oleodotto indipendente è cruciale, per il governo regionale curdo che persegue una maggiore indipendenza finanziaria nell’Iraq devastato dalla guerra civile. Ma la nuova rotta d’esportazione verso il porto turco di Ceyhan, progettata per by-passare il sistema di condotte federali di Baghdad, ha creato un forte attrito sui diritti di vendita tra il governo centrale e i curdi. Interpellato, un portavoce del Ministero dell’energia israeliano ha detto: “Noi non commentiamo l’origine del greggio importato dalle raffinerie private in Israele”. In passato raffinerie israeliane hanno già acquistato greggio curdo, ma in piccole quantità spedite ai porti turchi via autobotte. Israele, notano gli osservatori, ha poco da perdere rispetto a importatori americani o europei perché l’Iraq partecipa da sempre al boicottaggio anti-Israele, insieme a molti altri stati arabi. La disputa sul petrolio è uno dei principali fattori alla base dell’opposizione curda al primo ministro iracheno al-Maliki (sciita), che li accusa di collaborare con gli islamisti estremisti e le tribù sunnite. In realtà i peshmerga curdi sono schierati a difesa delle proprie regioni contro lo “Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante” (sunnita). La scorsa settimana i curdi ha assunto il controllo della città di Kirkuk (che hanno sempre considerato una città curda violentemente espropriata da Saddam Hussein negli anni ‘90) e hanno collegato il loro oleodotto a un’importante condotta che porta in Turchia, ampliando così il loro export potenziale. I giacimenti curdi producono attualmente 120.000 barili al giorno, ma contano di poter quadruplicare tale cifra. Washington si oppone in linea di principio all’esportazione curda diretta, in quanto va a detrimento dell’unità allo stato iracheno. Ma, dato il recente comportamento di al-Maliki, è improbabile che gli Stati Uniti si oppongano alla vendita di petrolio ad Israele. Tuttavia, potrebbe essere l’Iran a voler mettere sotto pressione i curdi perché desistano da tali operazioni.
(da israele.net)