Droni da Gaza, missili da Siria e Libano. Rischio di allargamento del conflitto. Washington dice no all’intervento di terra ma dà via libera ai raid aerei.
Di Carlo Panella
Hamas vuole che la popolazione civile sia vittima dei raid israeliani: la prova è il comunicato del Ministero degli Interni del governo di Gaza che da due giorni ingiunge agli abitanti del nord della Striscia di non seguire l’avviso diramato dalle Forze Armate di Israele che li ha invitati ad abbandonare le loro abitazioni che possono essere colpite dai raid dell’aviazione. Più di 10.000 palestinesi si sono quindi rifugiati in vari ricoveri e in altre zone della striscia ma la radio palestinese continua a intimare: «A tutti i figli del nostro popolo che hanno evacuato le loro case: tornate immediatamente e non lasciatele. Assicuratevi di seguire le istruzioni del ministero dell’Interno!». Esempio illuminante di una azione bellica cinica condotta dai palestinesi che dimostra che tutte le lamentele – che tanto fanno effetto sulle «anime belle in Europa» – circa la miseria a cui il blocco navale di Gaza condanna i palestinesi sono fandonie. Harnas invece di comprare alimenti, medicinali, sangue – che ora scarseggiano nei suoi ospedali – ha investito decine, centinaia di milioni di dollari per importare illegalmente migliaia di razzi e centinaia di missili di media portata, pagati a peso d’oro sul mercato clandestino degli armamenti. A questi si è aggiunto anche l’acquisto di costosi droni militari, tre dei quali sono stati lanciati ieri da Gaza, per essere pero subito intercettati dall’aviazione israeliana. Ciononostante la televisione di Hamas «al Aqsa» ha trasmesso ieri notiziari enfatici sulla disponibilità di queste nuove e costose armi (i droni sono approntati anche per «missioni suicide con cariche di dinamite») mentre dai minareti delle moschee venivano lanciate espressioni di giubilo. Hamas ha dunque investito in armamenti un vero e proprio patrimonio, ora bruciato dalle difese efficienti dell’Iron Dome israeliano. Un’enorme somma di denaro che avrebbe potuto garantire a tutti i palestinesi di Gaza un livello di vita più che eccellente. La quantità di razzi e missili entrati negli ultimi due anni a Gaza, peraltro, dimostra che il suo territorio è accessibile nonostante il blocco navale e la chiusura dei valichi con Israele e che quindi tutte le accuse palestinesi di «strangolamento» della Striscia sono ipocrite e fasulle. Ieri nel settimo giorno dall’inizio dell’operazione israeliana «Proctective Edge» sono emersi i primi allarmanti segni di un possibile allargamento del conflitto: dal Libano: due missili sono stati sparati sul nord della Galilea, mentre nel Sinai egiziano otto persone (un soldato, sette civili di cui due bambini) sono state uccise nel capoluogo amministrativo di al Arish – sede del governatorato egiziano – da colpi di mortaio, o di razzi lanciati dallo stesso Sinai. Dunque, Hezbollah da nord e i terroristi egiziani legati ai Fratelli Musulmani e ad Harnas si inseriscono nella crisi e puntano a allargarne il perimetro. Una strategia che denota il livello di avventurismo che guida la dirigenza di Hamas e dei Fratelli Musulmani egiziani. Avventurismo che peraltro può mettere in pericolo anche la stabilità della Giordania, che è governata da un saggio re Abdullah II, ma che ha una popolazione per il 70% di origine palestinese e che vede una non disprezzabile forza dei Fratelli Musulmani. La novità di questa crisi – lo ripetiamo – è che a differenza di tutte le precedenti il demenziale avventurismo di Harnas – che peraltro non riesce a provocare danni a Israele, che ha una superiorità tecnologica e militare assoluta – appare chiara anche ai governi arabi, in primis all’Egitto. II presidente Fattah al Sisi, che oggi incontra al Cairo il Segretario di Stato J. F. Kerry (è di ieri l’ok della Casa Bianca ai raid israeliani ma no all’intervento via terra) e che nei prossimi giorni riceverà anche il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini – secondo gli stessi media egiziani – non ha intenzione di fare nulla per impedire che Hamas subisca quella totale distruzione del suo arsenale militare che Israele si prefigge. Hamas, d’altronde intende avvalersi solo della mediazione del Qatar e della Turchia. Ma la trattativa non ha molte possibilità di avere luogo a causa delle folli pretese di Harnas che chiede, oltre alla fine dei raid, la fine del blocco di Gaza in vigore dal 2006, l’apertura del valico di Refah con l’Egitto (che non ha alcuna intenzione di riaprirlo) e la liberazione di tutti i suoi prigionieri in Israele. In sintesi: Hamas chiede di potersi riarmare senza nessuna difficoltà o ostacolo. Richieste che evidenziano che il suo avventurismo è anche al di fuori di ogni logica. ( art. tratto da Notizie su Israele)