Reportage di Maurizio Molinari
A meno di cento metri dall’entrata di Mon Shvut c’è la «trampeada» dove è niziato l’attuale conflitto fra Hamas e Israele. La «trampeada» è il posto dove i residenti di Gush Etzion fanno il «tramp» – ovvero l’autostop – per spostarsi in un’area dove i trasporti pubblici sono quasi inesistenti. Fu qui che alle 22,30 del 12 giugno gli adolescenti Eyal Yifrah, Naftali Frenkel e Gilad Shaer salgono a bordo dell’auto-trappola di Hamas, dove vengono uccisi poco dopo il sequestro. Venire su queste colline, a metà strada fra Gerusalemme e Hebron, serve a comprendere in quale misura il blitz di Hamas ha ferito Israele e dunque, di conseguenza, l’entità della resa dei conti militare ancora in corso nella Striscia di Gaza. Ciò che distingue Gush Etzion – il «Blocco di Sion» – è l’essere un gruppo di insediamenti che, pur trovandosi topograficamente in Cisgiordania, è considerato dagli israeliani parte integrante di Gerusalemme e di Israele. Per scoprirne il motivo bisogna attraversare il cancello giallo di Kfar Etzion – attaccato ad Mon Shvut – dove nel 1927 un gruppo di ebrei immigrati dallo Yemen tenta per la prima volta di costruire un insediamento nei pressi delle grotte dove i Maccabei si rifugiarono per sfuggire agli ellennizzanti e dove Bar Kochbà sfidò le legioni di Roma. L’intenzione degli yemeniti è di «proteggere Gerusalemme a Sud» ma si arena davanti all’ostilità del terreno roccioso che anche nel 1935 ostacola i fondatori di Kfar Etzion. La svolta arriva nel 1943 quando un gruppo di ebrei cecoslovacchi e ungheresi, riusciti a sfuggire alla Shoah, domano le colline di pietra grazie a una rudimentale coltivazione a terrazze. Cinque anni dopo il Gush Etzion è un insieme di quattro insediamenti, somma oltre 500 adulti e 50 bambini, e grazie all’agricoltura inizia a essere un tassello della Gerusalemme ebraica ma viene travolto dalla Legione Giordana 24 ore prima della proclamazione dell’indipendenza di Israele. La Legione infatti, sostenuta dai volontari dei villaggi arabi locali, conquista il Gush uccidendo 240 difensori, catturandone altri 260. Kfar Etzion cade il 13 maggio 1948 e i vincitori ne fanno scempio: ogni edificio è raso al suolo, i difensori che si arrendono sono passati per le armi e i cadaveri delle vittime – in gran parte civili – restano per oltre un anno esposti alle intemperie sul luogo della battaglia. Figli e nipoti delle vittime, anno dopo anno, si alternano assieme ai pochi sopravvissuti sul Monte Herzl per osservare da lontano con potenti binocoli – nell’anniversario della caduta – il luogo della strage, identificandola con la quercia solitaria presente su questo colle da almeno 700 anni. Quando nel 1967 gli israeliani conquistano la Cisgiordania, sono gli stessi sopravvissuti e discendenti a ricostruire il Gush distrutto. E un nuovo inizio che dà origine all’attuale blocco di 18 insediamenti, per un totale di 20 mila residenti, la cui caratteristica è di ospitare accademie rabbiniche e vigneti, scuole di trekking e parchi turistici, zoo biblici e start up di alta tecnologia in quello che assomiglia ad un microcosmo della società israeliana. Con una caratteristica in più: la maggioranza dei residenti sono «datim-leumim», nazional-religiosi, ovvero appartengono a quei gruppi di ebrei osservanti che hanno generato i «modern-orthodox» divenuti la tendenza di maggiore successo nell’ebraismo americano. La genesi è nel pensiero di Abraham Isaac Kook, primo rabbino capo ashkenazista della Palestina sotto mandato britannico, favorevole a coniugare ortodossia e modernità, che si studia anche nella yeshivà «Mekor Chaim» di Rabbi Adin Steinsaltz frequentata proprio da Eyal, Naftali e Gad. «Se quando nacque, Israele aveva la sua spina dorsale nei kibbutzim laici di matrice socialista – osserva Meir Steinberg, portavoce del consiglio di Gush Etzion – oggi ad averli sostituiti sono i nazional-religiosi». Per accorgersene basta guardare le foto dei soldati dei reparti speciali in uscita da Gaza dopo la fine delle operazioni di terra: in gran parte hanno in testa la kippà «srugà» ovvero il copricapo religioso ebraico fatto a uncinetto, come usano i nazional-religiosi che si formano spesso nel movimento giovanile Benè Akivà, lo stesso frequentato dal sottotenente dei Givati, Hadar Goldin, il cui corpo esanime è stato catturato a Gaza da Hamas. Senza contare che Efrat, insediamento poco lontano da Gush Etzion, vanta la maggior percentuale di generali per abitante dell’intera nazione. La fusione fra studio della Torà (legge ebraica), servizio militare e identità sionista si rispecchia nella «Pninà Hamà» (Angolo Caloroso), una piccola baracca creata dieci anni fa sull’incrocio stradale all’entrata del Gush dove i volontari servono cibo ai soldati di passaggio, giorno e notte, ogni singolo giorno dell’anno. Fondata dalla moglie di un dottore ucciso in un agguato terroristico, è auto-gestita da un network di dozzine di volontari. Quando vi entriamo dietro al balcone ci sono due donne di 54 anni, entrambe immigrate da New York nel 1984, che servono granite al lampone e dolci di ogni tipo a soldati in transito fra Beersheva e Gerusalemme. «Ogni mattina sono le famiglie che ci portano il cibo, noi siamo qui per darlo gratis ai soldati, facendo turni di 12 ore». E i militari ringraziano lasciando le bandiere dei reparti, o le mostrine delle proprie divise, con tanto di firme, personali e collettive. «Pninà Hamà» è un successo tale da essere stata emulata sulle Alture del Golan, in uno degli incroci più frequentati dai soldati al Nord, e a Sud, a ridosso della zona di operazioni a Gaza. «A Gush Etzion c’è l’anima di Israele – riassume Orly Jacobovitch, medico – e dunque chi ci vive non si riconosce nella definizione di “coloni” spesso usata all’estero come anche nelle diatribe sugli insediamenti in Cisgiordania che segnano spesso i rapporti fra Israele e Stati Uniti». A pensarla nello stesso modo è Amit, che gestisce un parco di daini nella Valle di Elah, secondo il quale «su queste colline vengono ogni anno 120 mila turisti perché è uno degli angoli dello Stato dove natura e Storia si fondono di più con l’identità ebraica». Da qui i malumori nei confronti del governo Netanyahu «perché non autorizza più la costruzione di immobili – come afferma Meir Steinberg – provocando rincari dei prezzi che impediscono alle giovani coppie di trovare casa». II fatto che nella coalizione di Netanyahu vi siano almeno cinque ministri che risiedono negli insediamenti non cambia l’opinione dei residenti. «Netanyahu può fare poco – afferma Ofer, manager del ristorante del vigneto Yekev – perché deve cedere alle pressioni di Obama, il presidente più avverso a noi che sia mai stato alla Casa Bianca».
(da informazionecorretta)