Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici, Avete letto: un neonato di tre mesi ammazzato e altri dieci persone ferite nell’”intifada silenziosa” (o se volete essere più precisi, nella guerra terroristica a bassa intensità) scatenata dai palestinisti a Gerusalemme e dintorni, col seguito immediatamente successivo di un assalto a pietrate a un asilo d’infanzia frequentato da bambini ebrei sempre a Gerusalemme, dove nessuno di quelli che giocava nel cortile è stato ferito per pura fortuna. E poi l’assalto al parlamento canadese, l’agguato alla polizia di New York, altri episodi certamente non secondari come l’impiccagione di una ragazza colpevole di essersi difesa dal suo violentatore a Teheran, le decapitazioni in Iraq, il rapimento di altre 60 ragazze in Nigeria. Devo giustificarvi il fatto di mettere assieme tutti questi episodi? Non credo. La ragione è evidente, comincia a esserlo almeno nonostante le cortine di nebbia lanciate a piene mani da giornali e politici “progressisti” e “di buona volontà”. La causa di tutti questi episodi di violenza e di moltissimi altri che si succedono ogni giorno è una sola, si chiama Islam. Il che non vuol dire che ci sia una congiura mondiale ben coordinata, naturalmente. E neppure che ci siano razze inferiori o aggressive, per la semplice ragione che le razze non ci sono. Infatti l’Islam non è una razza, ma una cultura sociale e politica basata su credenze religiose, una “forma di vita”, per dirla con Wittgenstein e con la semiotica. Opporglisi non è razzismo, più di quanto fosse razzista essere anticomunisti o antifascisti. Ci sono stati comunisti “bianchi” e “neri” e “gialli”, ci sono stati fascisti arabi (i fondatori del nazionalismo arabo, come Nasser e prima di lui il Muftì di Gerusalemme). Ci sono islamisti di tutte le nazionalità e di tutti i “colori”. Chi gli si oppone lotta contro una politica, non contro una “razza”. E dunque ha tutto il diritto di farlo senza essere criminalizzato. Però questo riconoscimento non piace. Anche se l’Islam politico somiglia molto di più al fascismo che al comunismo (non solo per le bandiere nere, ma per il sistema di dominio che propone, per l’autoritarismo di tutte le sue istituzioni, per il rifiuto totale dell’analisi sociale, ancor prima dell’idea di classe, è diventato di moda appoggiarlo. Perché buona parte dei suoi paesi guida erano alleati dell’Unione Sovietica, anche perché essa non c’è più, sostituita da un regime che ha anch’esso forti marche fasciste. O forse per disperazione. Fallita l’analisi marxiana della dinamica sociale in termini di lotta di classe, fallito il socialismo reale in tutte le sue varianti, dalla Cina di Mao diventata capitalismo di stato all’Urss di Stalin (e Breznev e Kossighin) a quei lager infiniti che sono Cuba e Corea del Nord, ma anche alle socialdemocrazie nordiche che non hanno affatto mantenuto le loro promesse, la sinistra che vuole “cambiare il mondo” non ha più modelli e strategie, si affida da un lato ai temi familiari e del corpo che “è mio e lo gestisco io”; dall’altro alle più improbabili alleanze, come quella con gli islamisti. La verità è che la sinistra europea e americana, almeno quella che si vuole vera, è diventata semplicemente nichilista. Chiunque voglia “distruggere lo stato di cose presente” (una citazione dell'”Ideologia tedesca” di Marx che piace molto a Toni Negri) gli appare un alleato, si tratti degli ottusi luddisti senza prospettive che “lottano” contro i collegamenti ferroviari moderni o dei tagliagole dello Stato Islamico. Distruggere lo “stato borghese”, cioè il funzionamento dell’istruzione e dell’economia, le strutture sociali fondamentali, l’identità collettiva che si esprime negli stati nazionali, l’innovazione tecnologica, è il suo programma. E se per questo bisogna aiutare gli islamisti nel loro feroce sforzo di restaurare una società reazionaria, paragonabili ai momenti più barbarici del Medioevo, non hanno alcuno scrupolo. E dato che la prevalenza di questo nichilismo non è cosa recente, risale almeno agli anni Sessanta del secolo scorso, essa ha fatto in tempo a formare una classe dirigente politica e intellettuale che ritiene suo dovere “democratico” non resistere alla distruzione incombente della nostra società. Il nostro problema non sono tanto gli islamisti, gli attentatori vigliacchi, i terroristi e i guerriglieri postmedievali che affliggono territori sempre più vicini alla vecchia Europa. Il problema vero è chi dirige oggi l’Europa e gli Stati Uniti, sul piano politico, intellettuale, religioso e anche militare. Una classe dirigente intera che lavora per il re di Prussia, con la pretesa di esprimere la democrazia più completa ed avanzata. E naturalmente l’elettorato che crede loro e li appoggia. Se non riusciremo a rovesciare la grande ondata culturale e politica autodistruttiva che domina l’Occidente, dai più alti livelli di potere fino alle redazioni dei giornali di provincia e alle scuole medie e elementari, il tramonto della nostra società sarà rapido, violentissimo e irresistibile.
(art. tratto da informazionecorretta)