di Fiamma Nirenstein Quei due cugini palestinesi con gli occhi annegati nel sangue, che sono entrati nella sinagoga di via Agassi per sparare alla gente che pregava e farla a pezzi con le mani brandendo coltelli da cucina non sono squilibrati, ma il risultato di una campagna cinica e fanatizzante che ha al suo centro la Moschea di Al Aqsa e Gerusalemme; ma al loro gesto ha contribuito, dispiace dirlo, l’atteggiamento sconclusionato e spastico dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. Non si può combattere da una parte le decapitazioni dell’ISIS, e dall’altra s eguitare a considerare gli attacchi terroristici contro gli ebrei di queste ultime settimane come una conseguenza pressoché logica del comportamento israeliano. Le condanne odierne, stanno a zero. La condanna di Abu Mazen strappatagli da una telefonata di John Kerry non parla di “terrorismo”: si è limitata a condannare “l’accaduto” e quanto legato all’odio religioso. Dà da pensare la curiosa parentela concettuale fra la dichiarazione di Alaa Abu Jamal, familiare dei due assassini nel quartiere gerusalemitano di Jabael Mukabaer (in gran festa per l’attacco compiuto mentre i siti sociali si riempivano di immagini di asce insanguinate e di ebrei terrorizzati col naso curvo e lo zucchetto) e le cose dette in queste giorni dai rappresentanti dei Paesi europei. Ha detto Abu Jamal a nome della sua gente: “L’attacco è avvenuto a causa della pressione delle forze occupanti del Governo israeliano sul popolo palestinese e specialmente sulla Moschea di Al Aqsa. L’atto compiuto è no rmale per chiunque sia connesso al suo popolo, al coraggio, all’Islam”. Se si guarda per esempio alle dichiarazioni dei ministri degli esteri dell’Unione Europea riunitisi lunedì, fa impressione come per bloccare la violenza a Gerusalemme, invece di concentrarsi sull’enorme mole di bugie propagate anche da Abu Mazen stesso sull’atteggiamento israeliano rispetto alla Moschea di Al Aqsa, cioè che Israele voglia cambiare lo status quo della spianata delle Moschee per cacciarne i fedeli musulmani, i ministri abbiano insistito nel condannare Israele per le costruzioni nei territori; non si chiede ai palestinesi che seguitano a compiere giorno dopo giorno mortali attacchi terroristici a Gerusalemme di “trattenersi da atti che peggiorino la situazione, da incitamento, da provocazioni e dall’eccessivo uso della forza” ma a Israele. Intanto la fuoriuscita di notizie su un documento dell’Unione Europea di applicare sanzioni a Israele deve avere confortato la linea dell a colpevolizzazione senza sosta di Israele. Adesso, Federica Mogherini ha dichiarato che si tratta di notizie vecchie e infondate. Ma l’aria che sale dall’Europa verso Israele non placa gli animi, li convince che i gesti aggressivi verranno compresi, forse giustificati, e che alla fine lo Stato palestinese nascerà non come una forma di compromesso, ma come una forma di compensazione dovuta. Lo confermano i riconoscimenti dello Stato Palestinese da parte del Governo svedese, del Parlamento inglese, della mozioni per il Parlamento italiano e della mozione che proprio di ieri al Parlamento spagnolo. E’ incredibile come l’alleanza di Abu Mazen con Hamas, le condoglianze ai terroristi, il ripetere che Israele vuole appropriarsi della spianata delle Moschee mentre si è limitata a vietare nei giorni topici l’ingresso ai minori di 50 anni per poche non vengano mai rilevate. E’ vero che gruppi di religiosi chiedono di salire s ul Monte del Tempio per pregare, ma la cosa viene misurata col contagocce. La scelta difensiva rispetto a un mondo fanatizzato e ostile con cui Israele non cede a facili compromessi territoriali dovrebbe ormai essere chiara anche ai ministri dell’UE che ieri si sono affrettati a condannare. Se possiamo parafrasare il parente dei due assassini, gli attacchi odierni sono in parte frutto dell’atteggiamento compiacente e debole del nostro mondo verso i palestinesi e Abu Mazen, compagno di governo di Hamas, come una vacca sacra.
(art. tratto dal Il Giornale, 19 novembre 2014 fiammanirenstein.com )
Nella foto Fiamma Nirenstein con Andie Hortai durante l’intervista di EDIPI lo scorso agosto a Gerusalemme.