Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli \Cari amici, la risoluzione scritta dall’Autorità Palestinese e presentata (probabilmente suo malgrado) dalla Giordania a nome dei 22 paesi arabi al Consiglio di sicurezza dell’Onu per il riconoscimento dello “Stato di Palestina” e la “fine dell’occupazione”, vale a dire la pulizia etnica degli ebrei dalla Giudea e dalla Samaria nel giro di un anno, non ha superato il voto dell’Onu. Non ha raggiunto cioè la maggioranza qualificata richiesta dal regolamento di nove voti, fermandosi a otto voti favorevoli, due contrari e cinque astensioni, senza dunque che ci fosse bisogno del veto americano per respingerla. E’ una buona notizia, naturalmente, ma che merita qualche riflessione in più. In primo luogo vale la pena di considerare la lista dei paesi membri del consiglio e il loro voto.
Hanno votato sì: Russia Cina Francia Argentina Ciad Cile Giordania Lussemburgo
Hanno votato no: Stati Uniti Australia
Si sono astenuti: Gran Bretagna Lituania Nigeria Corea del Sud Ruanda
Vale a dire che i vecchi schieramenti della Guerra Fredda tengono ancora per il blocco più o meno ex comunista e per il vecchio “terzo mondo” magari amministrato dalla sinistra come l’Argentina e il Cile o il Ciad; ma che ad esso si aggiungono dei paesi europei che una volta si sarebbero schierati con l’Occidente: il Lussemburgo, che non è certamente una grande potenza, ma esprima evidentemente un’opinione media in Europa e soprattutto la Francia che, come ha scritto ieri sera un sito locale, ha tradito di nuovo i suoi ebrei. Dopo averli rastrellati con entusiasmo durante la Shoà e consegnati ai nazisti per l’annichilamento; dopo essere diventato il principale centro dello stragismo antisemita in Europa (l’assassinio di Halimi, la strage alla scuola di Tolosa, quella del museo ebraico di Bruxelles, organizzata e preparata in Francia, gli assalti alle sinagoghe di quest’estate, la rapina con stupro nei dintorni di Parigi due settimane fa, le continue aggressioni, fra cui nell’ultima settimana tre luoghi ebraici fatti oggetto di spari, il voto dei due rami del parlamento per il riconoscimento dello stato della Palestina), ora la Francia governata dal socialista Hollande non solo ha votato per una risoluzione palestinese giudicata inaccettabile anche da Usa e UK, ma ha reagito alla sconfitta proponendosi di riprovare presto (http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Watch-Live-UN-begins-vote-on-Palestinian-demand-for-Israeli-withdrawal-386201). Insomma, anche se la Gran Bretagna si è ritirata all’ultimo minuto, è chiaro che c’è una maggioranza all’Onu contro Israele, e che di essa fa parte l’Europa, o almeno buona parte di essa. Che l’Autorità Palestinese sia un’organizzazione corrotta, antidemocratica, autoritaria, che opprime le donne e i gay, che non pratica la separazione dei poteri, il voto, lo stato di diritto; che il suo scopo sia una pulizia etnica; che essa sia divisa e non controlli il suo territorio (http://www.gatestoneinstitute.org/4987/palestinian-women), che metà delle sue organizzazioni politiche abbia dichiarato di non accettare gli impegni e le limitazioni, per scarse che fossero, contenute nella mozione, al mondo non interessa. Non hanno votato a favore dei palestinesi, ma contro Israele e gli ebrei. In secondo luogo è chiaro che l’AP ha voluto perdere così. Poteva non presentare la sua mozione, una volta chiaro che gli Stati Uniti non l’avrebbero fatta passare anche a costo di usare il veto; poteva aspettare che col primo gennaio cambiasse la composizione del consiglio di sicurezza, perché i nuovi membri a rotazione le saranno più favorevoli di quelli che scadono e probabilmente fra due giorni la mozione avrebbe raggiunto il limite di nove, obbligando gli Usa al veto. Avrebbe potuto evitare di usare una formulazione che tutti hanno giudicato estremista (per esempio sui tempi, sulla non menzione della smilitarizzazione del nuovo paese ecc.), mettendo più in dubbio l’amministrazione americana, che certo non ha grande simpatia per Israele, e magari garantendosi il voto favorevole di un paio di paesi che si sono astenuti, come la Lituania e soprattutto la Gran Bretagna, che aveva collaborato a scrivere una proposta francese meno estremista anche se comunque del tutto inaccettabile per Israele. Perché l’AP ha voluto perdere, perche Abbas ha fatto l’ennesima scommessa perdente? Alcuni dicono: per poterne fare un’altra domani. Si sa già quale sia, si tratta dell’adesione alla corte penale internazionale con la minaccia di denunciare Israele, ignorando il fatto che in questo modo anche l’AP e Hamas potrebbero essere denunciati per i loro evidenti crimini di guerra e che dunque al conflitto sul terreno, a quello diplomatico, a quello nei media si aggiungerebbe un altro livello di “lawfare” di guerra legale, con esiti molto incerti. E’ vero che anche la corte, essendo di nomina politica, è squilibrata nei confronti dei palestinisti; ma certamente è difficile per qualunque tribunale assolvere il terrorismo aperto e indiscriminato praticato senza vergogna da Hamas e Fatah. E’ possibile che Abbas vada avanti su questa strada, ma non aveva bisogno del voto dell’Onu per seguirla. La ragione vera è probabilmente un’altra. Abbas ha bisogno di di mostrare che esiste, che conta qualche cosa, che si dà da fare a modo suo non per il benessere della sua popolazione, che gli interessa pochissimo, o per “la pace”, che è solo un tema di propaganda, bensì contro Israele. E certamente questo tentativo dell’Onu ha messo in imbarazzo Israele, ha mostrato che la maggior parte del mondo gli è contro e gli permette di indicare come aiuto principale del nemico anche l’America, che le piazze arabe amano odiare. Insomma è la stessa mossa per cui Arafat a suo tempo si schierò accanto a Saddam Hussein, che pure chiaramente non poteva vincere: il richiamo della foresta, o piuttosto il risultato della propria stessa propaganda. Cinquant’anni o forse cento (da un certo punto di vista 1300 anni, il tempo che è passato dalla scrittura del Corano) di lavaggio del cervello antisemita rendono difficile ogni mossa che allenti la tensione e obbligano ad agire contro i nemici, gli usurpatori, gli schiavi ribelli che sono gli ebrei. Questo è il nocciolo del problema arabo con Israele, che sta alla base dei tentativi suicidi come quelli dell’Onu. I paesi arabi sono prigionieri della retorica antisemita che propinano al loro stesso pubblico. Anche quando collaborano attivamente con Israele nelle scelte militari e di politica internazionale sul terreno, come fanno l’Egitto, la Giordania, i Paesi del Golfo ed entro certi limiti l’Autorità Palestinese, sono obbligati dalla loro stessa propaganda a fare delle mosse pubblicitarie antisemite. L’Egitto l’altro ieri ha proibito un pellegrinaggio tradizionale sulla tomba di uno Tzaddik (un “santo”) sefardita che sta sul suo territorio, un pellegrinaggio puramente religioso che era stato sempre consentito, anche durante i tampi di Nasser, e lo ha fatto, nella sentenza di un giudice “per ragioni morali”! Il punto è questo. Fino a che gli arabi non rinunceranno alla loro radicata propaganda antisemita, non potranno portare alla superficie accordi e alleanze con Israele senza costi enormi, perché i loro stessi sudditi glielo impediranno. Per questo è capitale la legge che proclama Israele stato ebraico, e la richiesta di Netanyahu che in ogni accordo con l’AP essa dichiari di accettare Israele come stato ebraico. Perché il punto centrale in questo conflitto è l’antisemitismo islamico, il loro disprezzo per gli ebrei ridotti per tredici secoli in condizione di servitù, il rifiuto di farsi governare e convivere con “esseri inferiori”. Tutto questo, come l’antisemitismo europeo sempre più aperto, resta in eredità al futuro. Per ora godetevi con me questa vittoria (o piuttosto non-sconfitta) e accettate, come dicevano gli ebrei italiani una volta, gli auguri di “buon anno commerciale”
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