I canarini stanno smettendo di cantare
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: un canarino, assicurazione sulla vita dei minatori. Gli ebrei sono i canarini dell’Europa
Cari amici,
“nelle miniere di carbone in America, i minatori portano spesso con sé un canarino. Lo mettono nel pozzo e quello canta. E se per caso smette di cantare, per i minatori quello è il momento di uscire: l’aria è velenosa”. Così scrive Gore Vidal in epigrafe a una sua raccolta di saggi letterari intitolata per l’appunto “Il canarino e la miniera” (Fazi editore, 2003). Fin qui racconta un dato di fatto ben noto. E’ facile trovare su Internet le fotografie dei poveri animali usati come primitivo sensore chimico. E poi soggiunge: “Per me, noi scrittori siamo i canarini”. Sarebbero gli scrittori ad essere i sensori della vita sociale? Qualche volta è capitato certamente che la libertà degli scrittori o piuttosto la sua mancanza misurasse quella del loro paese. Ma piuttosto a posteriori, quando le dittature erano già consolidate ed emergeva il bisogno di rompere la cortina di conformismo. Quando il pericolo si avvicina, gli scrittori e in genere gli intellettuali tendono spesso a provare un’attrazione incontenibile per i grandi movimenti collettivi e le personalità tiranniche che producono le dittature, anche se poi sono destinati ad esserne repressi. Vi sono stati più scrittori dell’ultimo secolo comunisti, fascisti, islamofili (magari tutt’e tre le cose, una dopo l’altra) che difensori della banale democrazia in cui se ti suonano alla porta alle 6 di mattina è una consegna del lattaio e non la polizia segreta, come usava dire Churchill.
Vorrei suggerire che vi è un’altra categoria di canarini, ben più affidabile come indicatori di rischio per la libertà e la convivenza civile di un paese. Sono gli ebrei. Una piccola minoranza dispersa per il mondo da duemila anni, interessata soprattutto a vivere secondo i propri principi e le proprie tradizioni, disposta a svolgere la funzione economica e sociale che veniva loro consentita dalla maggioranza, gli ebrei sono vissuti bene solo dove c’era pace civile, tolleranza religiosa, libertà di vivere la propria vita pacificamente e produttivamente. Gli ebrei sono vissuti bene, come i canarini hanno cantato, nelle società pacifiche e laboriose: l’Olanda del Cinque e Seicento, la Spagna cristiana e araba prima del Quattrocento (quando non prevalevano gli integralisti islamici o cristiani), la Sicilia araba e normanna, Venezia quand’era davvero Serenissima, gli Stati Uniti indipendenti, la Gran Bretagna e la Germania ottocentesca, Livorno dalla fondazione, Mantova rinascimentale… l’elenco è incompleto e però anche troppo estensivo, perché ognuno di questi luoghi e tempi di relativo benessere fu spesso minacciato e interrotto da momenti di odio e di violenza e spesso si concluse tragicamente, come nel caso della Spagna e della Germania.
Ma il test in genere funziona. Finché i canarini cantano, cioè gli ebrei sono in grado di vivere una vita normale, senza persecuzioni o discriminazioni, le società in cui vivono sono abbastanza libere e attive da prosperare. Quando “smettono di cantare” e se ne vanno o peggio, la crisi non è solo loro, ma anche dei paesi e dei regimi che li perseguitano. Non vi è in questa costatazione nessun fideismo: i canarini non provocano il gas o la sua assenza, ne denunciano solo sul loro corpo la condizione. Gli ebrei di solito sono parte attiva delle società in cui vivono, sono intraprendenti, hanno relazioni internazionali (cioè famiglie estese che vivono in diversi luoghi e stati) che favoriscono il commercio, un’etica o una tradizione religiosa che non demonizza la ricchezza ma le chiede di assumersi le sue responsabilità sociali, valutano molto positivamente lo studio e quindi l’intelligenza, che si può applicare anche alla scienza e all’industria, sono abituati a badare a se stessi collettivamente e a non (poter) pesare sulla società circostante. Ma sono sempre stati abbastanza pochi per influenzare estesamente i grandi processi economici. E però, per l’appunto come i canarini, subiscono sulla loro pelle lo stato dell’ambiente circostante. Quando sono costretti ad andarsene (o peggio), questo significa che vi è una patologia sociale molto forte, una carica di violenza che si scarica su di loro, ma infetta tutta la società, un’intolleranza che chiude la prospettiva di una vita decente non solo per loro.
E’ accaduto così per la Spagna del ‘500, che è entrata in una gravissima crisi dopo averli cacciati (o peggio), per l’Italia Meridionale e la Sicilia, per l’Unione Sovietica di Stalin, per l’Inghilterra delle guerre civili nobiliari, per non parlare della Germania nazista e dei Paesi arabi. Oggi questa condizione si sta ripetendo per l’intera Europa, che non sa o che non vuole garantire ai suoi cittadini ebrei quel grado di sicurezza che è normale per tutti: potersi riunire per pregare, studiare, fare vita sociale, potersi identificare pubblicamente per quel che si è senza rischiare l’aggressione se non l’omicidio. Poter seppellire i propri morti senza che le tombe siano dissacrate. Poter comparire socialmente senza essere sommersi da minacce e insulti. Badate, non sono privilegi, è ciò cui qualunque gruppo di persone è abituato in una società minimamente civile: quelli che praticano un certo sport o un certo mestiere, che vengono da una certa città o hanno certi gusti. Vi immaginate, fuori dal delirio del tifo calcistico, che qualcuno minacci di morte i genovesi o gli umbri? Che insulti i suonatori di fisarmonica o i falegnami, che devasti le tombe degli avvocati, che metta bombe nelle chiese valdesi o francescane? Solo provare a fare un elenco del genere è ridicolo; è ovvio che solo un pazzo può mettersi su un terreno del genere. E però per gli ebrei avviene, nella migliore delle ipotesi devono vivere una vita blindata, con la polizia o l’esercito a difenderli fuori dalle sinagoghe o dalle scuole e case di riposo – in tutt’Europa. Con l’aggravante in più che spesso, con vari pretesti si presentano leggi che hanno il senso di rendere impossibile la vita ebraica, come i divieti sulla circoncisione o la macellazione degli animali secondo le norme religiose.
Gli ebrei inoltre hanno ricostruito un loro stato antico, che è il loro “focolare nazionale”, come l’Armenia lo è per gli armeni, l’Irlanda per gli irlandesi o la Slovenia per gli sloveni: piccoli stati che ospitano gruppi sociali che a lungo sono stati oppressi e dispersi. A differenza di altri, in questo momento, Israele è circondata da nemici accaniti, ben decisi a distruggerlo e a sterminare i suoi abitanti. L’Europa però non lo appoggia, non lo sostiene, anche se si tratta dell’unica democrazia della zona, di un alleato sociale e culturale, ancora più che politico. Al contrario, ha progressivamente identificato Israele come il proprio avversario politico, il solo stato che si propone di piegare con tutti i mezzi in una condizione in cui la sua sopravvivenza è estremamente problematica. E lo fa allo scopo di costituire al suo fianco uno stato terrorista, nel senso molto preciso di uno stato dominato da organizzazioni militari che hanno selezionato i propri dirigenti per la loro capacità di organizzare il terrorismo antiebraico e di praticarlo ancora.
C’è qualche sorpresa nel fatto che la popolazione ebraica in Europa sia drasticamente calata, non solo a causa della Shoà (cui tutt’Europa, salvo rare eccezioni individuali, collaborò con entusiasmo) ma anche dopo, che continui a calare ancora oggi, con vere e proprie emorragie dalla Francia, dai paesi nordici e dall’Ucraina? Che anche dall’Italia, benché il nostro sia uno dei paesi che hanno avuto, almeno negli ultimi vent’anni, maggiore amicizia e rispetto per gli ebrei e Israele, l’emigrazione sia ripresa intensamente? I canarini stanno smettendo di cantare, il sintomo è chiarissimo. E’ un allarme e una sofferenza per gli ebrei, che hanno pagato molto pesantemente questa situazione (non è simpatico essere canarini, ve lo assicuro). Ma è un sintomo pessimo per l’Europa, che sta distruggendo la sua identità e la sua libertà, identificandosi e aprendosi a una cultura nemica, aggressiva e da sempre antisemita come quella islamica.
Ugo Volli