Quando si parla di sionismo cristiano, qualcuno forse pensa che sia una stranezza abbastanza recente. Non è così. Ringraziamo Rinaldo Diprose che ci ha messo a disposizione un suo articolo in cui si parla di un colloquio avvenuto nell’Ottocento tra un rabbino e un evangelista proprio sul tema del ritorno a Sion degli ebrei. E questo più di dieci anni prima che Leon Pinsker scrivesse il suo pamphlet “Autoemancipazione”, e più di vent’anni prima che Theodor Herzl scrivesse “Lo Stato ebraico”.
di Rinaldo Diprose
Introduzione Siamo abituati a pensare che il dialogo ebraico-evangelico sia un fenomeno determinato dai tristi eventi del ventesimo secolo. Quindi ci sorprende lo scoprire la storia del dialogo svolto fra Carlo Antonio Zanini e la comunità ebraica del suo tempo in particolare a Mantova durante gli anni 1867 e 1872. A determinare questo dialogo, voluto dallo stesso Zanini sono state le sue convinzioni bibliche.
-La storia di questo dialogo Durante gli anni 1867-1872 Carlo Antonio Zanini si è incontrato più volte con alcuni rappresentanti delle Comunità ebraica e cattolica romana nella sala di lettura della Biblioteca Pubblica di Mantova. Si stima che in quei tempi la comunità ebraica residente in tutta Italia contasse circa cinquantamila persone. I principali argomenti discussi a Mantova riguardavano il Messia e la concezione dei tempi messianici. Ci si poneva la questione se il popolo ebraico dovesse pensare seriamente a un suo ritorno nella Terra Promessa. Lo Zanini era l’unico a insistere sulla possibilità di questo ritorno. Il prof. Giuseppe Jaré, che in seguito divenne il rabbino capo di Ferrara, non espresse la sua opinione in materia, ma tutti gli altri esclusero una tale ipotesi, come la maggior parte del resto della comunità ebraica italiana di quel tempo1. Si pensava che la diaspora ebraica facilitasse il compimento della loro missione universale di preparare il genere umano per un futuro utopistico di pace e fratellanza. Questa convinzione fu espressa in un discorso di Marco Mortara, rabbino capo a Mantova in occasione della Pasqua ebraica, nel 18682. Trent’anni dopo, Giuseppe Jarè, rabbino capo di Ferrara espresse la stessa opinione3. Però, a differenza di Mortara, il rabbino Jaré intravedeva «il ristabilimento di Israele nella Terra Santa nella pienezza dei tempi attraverso la Divina Provvidenza in un contesto di pace universale»4. Il rapporto dello Zanini con il popolo ebraico è significativo. Egli faceva parte di un gruppo di evangelisti addestrati da Teodorico Pietrocola-Rossetti, uno dei conduttori delle Chiese Libere Italiane, durante gli anni 1857-60. Quando questo movimento si divise in «Chiesa Italiana Libera» e «Chiese Cristiane dei Fratelli»5, sia il Rossetti che lo Zanini rimasero con queste ultime. Lo Zanini acquisì dal Rossetti, oltre a una preparazione specifica anche un amore per lo studio in generale6. Questo lo portò a interessarsi della religione comparata7. Il suo interessamento particolare per la minoranza ebraica a Mantova e, in seguito, ad Alessandria e Ferrara (luoghi in cui è vissuto per svolgere la sua missione evangelistica), può essere considerato frutto di forti convinzioni maturate mediante la meditazione delle Scritture, insieme con una grande attenzione alle implicazioni pratiche delle verità studiate. È da notare che l’interesse culturale dello Zanini non lo indusse a nascondere le sue convinzioni. Infatti era disposto a sostenere la prospettiva biblica di un ritorno del popolo ebraico nella Terra Promessa contro l’opinione dei rabbini e dei rappresentanti della Chiesa Cattolica. Quando si azzardò a suggerire che la sua generazione avrebbe visto i primi segni del ristabilimento d’Israele in Terra Promessa, alcuni lo schernirono apertamente8. Ciò nonostante, alcuni eventi, in particolare il primo Congresso Internazionale sul sionismo tenuto a Basilea nel 1897, gli diedero ragione. Alcune fasi del dibattito tra lo Zanini e i conduttori della comunità ebraica di Mantova sono documentate su La Vedetta Cristiana (1871). Il primo scritto era dello stesso Zanini e fu intitolato: «Un segno dei tempi»9. L’articolo comincia con quest’affermazione: «È una credenza molto sparsa e radicata ne’ cristiani fedeli alle Scritture, che gli Ebrei debbano essere ricostituiti nella loro nazionalità e riavere il paese dei padri loro. L’Antico e il Nuovo Testamento sono molto espliciti a questo riguardo»10. Sembra che lo Zanini fosse spronato a scrivere questo articolo a causa delle delibere di un Concilio di Rabbini tenuto all’inizio dello stesso anno, sotto il patronato della sinagoga di Wasserstrasse a Vienna. Tre di queste delibere suonavano cosi: rimuovere dalla liturgia della sinagoga ogni riferimento alla venuta di un Messia; non parlare del ripristino di sacrifici e non pensare a un ritorno del popolo in Palestina11. Gran parte dell’articolo fu dedicato a un’esposizione di alcuni brani della Scrittura il cui senso era stato negato in maniera palese, o non preso in debita considerazione, dai rabbini incontratisi a Vienna. La risposta di Marco Mortara all’articolo dello Zanini apparve anch’essa su La Vedetta Cristiana12. Secondo Mortara, l’evangelista non aveva compreso le delibere dei rabbini incontratisi a Vienna. Ciò nonostante, Mortara stesso spersonalizzò il concetto del Messia; inoltre, intese i tempi messianici come la missione ebraica il cui obiettivo era di promuovere valori quali la moralità e la cortesia in tutto il mondo13. Nella sua replica, pubblicata in parte nello stesso numero de La Vedetta e in parte nel numero successivo, lo Zanini affermò: «Noi, credenti nel Messia personale, crediamo per conseguenza nel suo regno millenniale, che il signor Mortara chiama “la futura età dell’oro del genere umano” e ciò accorda perfettamente con quanto egli disse esplicato dai veggenti d’Israele»14. Il rabbino Mortara aveva sfidato lo Zanini a spiegare come potesse avvenire la restaurazione d’Israele nella propria terra. Nella sua risposta, lo Zanini scrisse: «Se non ci è dato di sapere il come e il quando, ciò non vuol dire che la cosa è impossibile»15. Per rendere il concetto, lo Zanini elenca quarantatré brani biblici, di cui trentadue dall’Antico e undici dal Nuovo Testamento, che affermano in modo esplicito o alludono alle intenzioni di Dio di restaurare Israele nella sua terra, dopo un periodo di dispersione in tutto il mondo. Una volta lì, dopo essere stati preda dell’Anticristo, gli ebrei crederanno nel loro vero Messia e prenderanno parte al suo regno. Quanto all’accusa di deicidio, lanciata da teologi cristiani agli ebrei di ogni epoca, lo Zanini riconosce che la responsabilità ricadde tanto sui Giudei quanto sui Gentili. Egli fa la seguente osservazione perspicace: Che una tale opera fosse necessaria per l’umanità nella pienezza de’ tempi, è evidente da ciò stesso che i rabbini medesimi aspettano dalla parte di Dio: “la maturezza de’ tempi pel compimento della missione d’Israele, quale sacerdozio di pace e di lumi. Veggansi anche i seguenti passi”. Is XLIX,8; Mr I,15; Ga IV,4.»16 Lo Zanini rassomiglia il «consiglio dei rabbini» alla Roma papale, a motivo della soppressione della luce della Scrittura. Secondo lui i rabbini avevano ignorato l’insegnamento biblico inerente alla peccaminosità dell’uomo e riguardo a come Dio sarebbe intervenuto, nella persona del Messia, per risolvere questo problema17.
-La diverse dimensioni del rapporto dello Zanini con la comunità ebraica Lo Zanini dialogava con i rabbini in qualità di evangelista. Con ciò intendiamo dire che, oltre alle singole questioni affrontate, egli cercava di presentare la vera identità del Messia e il vangelo della grazia di Dio ai suoi interlocutori ebrei. Lo si può dedurre tanto dal contenuto delle conversazioni di Mantova quanto dalla notizia di almeno un ebreo che nel 1880 fu battezzato come discepolo di Gesù in seguito al suo ministero.18 Parecchi anni dopo i suoi dibattiti con la comunità ebraica di Mantova, ad Alessandria fra il 1886 e il 1888 lo Zanini coinvolse altri rabbini in simili conversazioni. Durante questo periodo propose che venisse costituita una fratellanza in favore degli ebrei a carattere internazionale, per assisterli nel loro ritorno nella Terra Promessa. Questo suggerimento fu fatto un decennio prima del primo Congresso Internazionale Sionista di Basilea. L’opposizione della comunità ebraica alla sua proposta fu cosi forte che lo Zanini dovette abbandonare temporaneamente il progetto. Più tardi, quando riprese a occuparsene, gravi problemi personali impedirono che se ne facesse alcunché di concreto.19 Sappiamo del desiderio dello Zanini di assistere il popolo ebraico nella realizzazione della promessa biblica della loro rinascita nazionale, da un articolo che egli stesso scrisse nel 189720, poco dopo la conclusione del primo Congresso Internazionale Sionista di Basilea. In quest’articolo si domanda il perché della freddezza del papa verso il Sionismo. Secondo lui il papa voleva accreditare la «profezia» infondata secondo cui gli ebrei devono rimanere dispersi per sempre21. Per lo Zanini, la storia del XIX secolo aveva dimostrato l’infondatezza di questa pseudo-profezia. Infatti l’evangelista illustrò la crescita costante della comunità ebraica residente in quella che allora era conosciuta come la Palestina. Ad esempio, in pochi decenni la popolazione di Gerusalemme era cresciuta da cinque-seimila a circa quarantamila. Inoltre lui parla dell’esistenza in Palestina di alcune assemblee di ebrei messianici, ossia ebrei che avevano riconosciuto in Gesù di Nazaret il Messia d’Israele, pur mantenendo la propria identità culturale. Egli espresse l’opinione che altri eventi, come la costruzione del canale di Suez, avrebbero facilitato il ritorno di Israele alla propria terra.22
-Conclusione Ci sono due motivi per cui ritengo che i contatti dello Zanini con la comunità ebraica italiana siano «Un modello per la chiesa di oggi»: innanzitutto, perché egli mostrava grande rispetto per le convinzioni e le persone dei rabbini Mortara e Jarè, e quindi veniva anche lui rispettato da loro. In secondo luogo, perché teneva alta la Parola della verità, anche quando ciò comportava il rischio di vedersi respinto dai suoi interlocutori. In questo si vede che lo Zanini intraprese le sue conversazioni con i rabbini perché sapeva di avere delle verità importanti da condividere con il popolo ebraico. Inoltre, i tentativi dello Zanini di fondare una fratellanza internazionale in favore degli Ebrei, oltre che di evangelizzare la comunità ebraica residente in Italia, dimostrano che non era un teologoda salotto; bensì una persona pronta ad agire secondo le proprie convinzioni, anche quando queste risultavano impopolari.23
- Carlo Zanini, L’Italia Evangelica XVI n. 42 (1897), p. 331.
- Questo discorso fu ristampato, assieme a una lettera scritta dal Rabbino a Carlo Zanini, in La Vedetta Cristiana II 14, 15 luglio 1871, pp. 106-108.
- Si veda la lettera datata 20 Settembre 1897, scritta dal Rabbino a Carlo Zanini, pubblicata in L’Italia Evangelica XVII 42, 16 ottobre 1897, p. 331 .
- Si veda la lettera del 20 settembre.
- Questo avvenne tra il 1863 e il 1870.
- Daisy Ronco, Crocifisso con Cristo, Fondi, UCEB 1991, pp. 43-45.
- Lo Zanini diede almeno due contributi scritti alla letteratura sulla religione comparata, entrambi pubblicati su Civiltà Italiana, 1864- 1865 (Domenico Maselli, op. cit., pp. 264-265).
- L’Italia Evangelica, op. cit., pp. 330-331.
- Carlo Antonio Zanini, «Un segno dei tempi», La Vedetta Cristiana Il/10, 15 maggio 1871, pp. 73-75.
- Ibid., p. 173. Il parere dello Zanini relativo all’ampia intesa fra i Cristiani biblici su tale questione trova conferma in un articolo intitolato «Tribù» nel Dictionnaire de la Bible, I. A. Bost (ed.) (1865 ) citato da G. Callegari in La Vedetta Cristiana II/ 17, 1 Settembre 1871, p. 136: «Le dodici tribù d’Israele debbono essere un giorno ristabilite da Dio nel paese che fu promesso al loro padre Abraamo. Questa dottrina è stata professata in tutti i tempi nella chiesa cristiana; essa fu quella di tutti i padri, sia greci, sia latini… essa si lega d’una maniera intima e necessaria a tutte le speranze de’ figliuoli di Dio sopra il regno di Gesu Cristo, sopra la risurrezione dei santi, sopra l’avvenimento del Salvatore; in una parola essa si unisce (se raache) a tutte le glorie fu del popolo di Dio».
- La Vedetta Il 10, 15 maggio 1871, p. 73.
- Ibid, 4, 15 luglio 1871, pp. 105-108.
- Ibid. p. 107.
- Ibid., p. 109.
- Ibid.
- Ibid., p. 112.
- Ibid., p. 110 e passim nei suoi contributi alla rivista La Vedetta.
- Domenico Maselli, Tra Risveglio e Millennio. Torino: Claudiana, 1974, p. 264.
- Lettera di Carlo Zanini al professor Giuseppe Jarè, rabbino capo di Ferrara, L’Italia Evangelica,XVII/42, 16 ott. 1897, p. 332.
- Ibid., pp.331-332.
- Ibid., p. 332.
- Ibid.
- Cfr. Daniele Garrone: «Prima di Auschwitz, l’unico ambito in cui si coltivasse l’interesse per l’ebreo contemporaneo era la missione cristiana fra gli ebrei, oggi comincia a diffondersi e radicarsi un interesse per l’ebraismo e gli ebrei scevro da ogni intento missionario . . . » (D. Garrone, «Chiesa-Israele: nuove prospettive teologiche», Protestantesimo 52 (1997 /4): p. 303. Questa dichiarazione ignora il contributo di molti evangelici come lo Zanini e John Wilkinson che, motivati da precise convinzioni, hanno abbinato alla missione cristiana fra gli Ebrei un interesse, talvolta molto concreto, verso la sua vocazione e il suo ristabilimento nella Terra Promessa. Trascura pure il posto centrale che Israele ha occupato nel pensiero teologico dispensazionalista da piti di centocinquant’anni (si veda Paul Boyer, Boyer, Paul. When Time shall Be No More. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1992, p. 183; cfr. «Christianity», in The Encyclopedia of Judaism, Geoffrey Wigoder [a cura di], Jerusalem: Jerusalem Publishing House 1989, p. 164).
Marco Mortara risponde a Carlo Zanini
Sullo scambio avvenuto nel 1871 tra il rabbino Marco Mortara e l’evangelista Carlo Antonio Zanini, aggiungiamo qui uno stralcio di un articolo di Bruno Di Porto, “Marco Mordekai Mortara, Dores Tov”, comparso su “Materia giudaica. Rivista dell’Associazione italiana per lo studio del giudaismo (2010-2011)”, ed. Giuntina.
di Bruno Di Porto
Uditori dei sermoni di Marco Mortara, come accadeva in altre sinagoghe e per altri rabbini, erano anche non ebrei. Lo udì, nel 1868, in un sermone per Pesach, l’evangelista Carlo Zanini, esponente di un variegato protestantesimo risorgimentale, che trattò degli ebrei, nel numero del 15 maggio 1871, sul periodico La Vedetta Cristiana, della Chiesa libera, senza invero riferirsi a lui, ma toccando la corda dell’integrazione nelle nuove patrie, che gli stava molto a cuore. Avendo letto, in un Giornale serio-faceto di Firenze, che certi rabbini di Vienna abrogavano i riferimenti liturgici alla restaurazione messianica di Sion, Zanini vi reagiva, perché andavano in senso contrario alla fede millenaristica evangelica nella finale conversione al cristianesimo del popolo ebraico, una volta riunito nella biblica patria storica. Il pubblicista evangelico, non informato della divisione in corso tra ortodossia e riforma in seno all’Ebraismo, vedeva in quella risoluzione la degenerazione moderna di gran parte degli ebrei, che, paghi dei vantaggi conseguiti con l’emancipazione nella società dei goim, tradivano il fondamento della loro fede e tradizione, dando con ciò implicitamente ragione all’ortodossia ebraica nel non voler cancellare il riferimento al Sion. Mortara intervenne, ospitato dal giornale evangelico, senza spiegare la divisione in campo ebraico ma cautamente condividendo la linea di quei rabbini riformati, dei quali era probabilmente poco informato. Li difese dall’illogica illazione del Giornale Serio Faceto, secondo cui, rinunciando all’attesa del Messia, essi implicitamente confessavano che il messia era già venuto nella persona di Gesù. Attenendosi alla Torah vera e propria, come sola fonte sicuramente rivelata della religione ebraica, Mortara affermava che non vi era un dogma relativo alle messianesimo e considerava molto dubbio il riferimento a Siloh nella benedizione di Giacobbe ai figli (Genesi, 49,10), forse da intendere come un luogo piuttosto che un personaggio. Quanto alla riunione degli ebrei in Sion, non gli sembrava che il Nuovo Testamento la prevedesse, abbinandola alla loro finale conversione. Chiariva le differenze di fondo dell’ebraismo rispetto al cristianesimo circa il peccato originale, o il «peccato» in assoluto, e sul concetto cristiano che Dio per redimere l’umanità dal peccato avesse bisogno di offrirsi egli stesso all’espiazione sacrificale, quando nell’ebraismo perfino i sacrifici degli animali furono una concessione provvisoria a credenze e costumi dei tempi, venendo il loro valore ridimensionato o addirittura contestato nei libri profetici. A Mortara soprattutto premette di smentire il pensiero, implicito nella tesi di Zanini, che l’appartenenza degli israeliti alle patrie adottive comportasse una infedeltà ai fini della propria religione. Chiedeva peraltro quali concreti segni di ritorno degli ebrei in Palestina Zanini potesse scorgere. Pensava che l’ideale del futuro fosse, per quei rabbini di Vienna, come era infatti per lui, un sacerdozio di «pace», di «lumi», di «beatitudine» per l’intera umanità riunita nel riconoscimento dell’unico Dio. Concludeva col dire che le loro idee potevano non essere accettate da tutti gli israeliti, ma che essi non sarebbero stati considerati apostati, perché nell’ebraismo regnava la tolleranza delle diverse opinioni, E questa conclusione era rivolta in filigrana al campo ebraico per il pluralismo in eterno, in coerenza con l’esempio di armonizzazione e mediazione da lui dato, nei suoi scritti, tra le diverse componenti e tendenze manifestate nella storia dell’ebraismo. La direzione della Vedetta Cristiana, parlando con rispettosa stima del rabbino Mortara, si doleva, in apertura del numero, che egli negasse le categorie di peccato e di espiazione, così evidenti nella Bibbia. Quindi Zanini, nella risposta, marcava, lungo tutta l’estensione della Bibbia ebraica, l’anelito alla riunione dei figli dispersi nella terra di Israele, quale elemento essenziale anche per gli ebrei moderni, la cui fede non fosse «snervata o spenta». Effettivamente, in altri rabbini italiani, cominciando da Sadal e Benamozegh, il senso del popolo e il legame con la terra di Israele, restava profondo, pur nell’adesione ai benefici e ai doveri dell’emancipazione. Zanini ravvisava inoltre la contraddizione di Mortara nel ritenere davvero rivelato il solo Pentateuco e però nello sminuire il valore dei sacrifici animali, che lì hanno tanto peso, ricorrendo ad altri libri della Bibbia; e quanto al termine siloh, chiedeva cosa mai volesse dire, nella benedizione di Giacobbe, se fosse riferito ad un luogo invece che all’attesa messianica. Rifacendosi, infine, nella replica, al sermone di Mortara per Pesach, me criticò il taglio interpretativo moderno di un ammaestramento per il presente a ben usare, con moderazione, la libertà politica, perché era riduttivo ed anacronistico rispetto ai temi autentici dell’esodo, nella tensione del viaggio verso la terra promessa, tra comandi divini e peccati umani. Mortara riprese, a sua volta, il discorso, nel numero del 1 settembre 1871, anzitutto per togliere il dubbio che il patriottismo degli israeliti delle varie nazioni potesse essere in contrasto con lo spirito della loro religione. Egli poi svolse, in quella ospitale sede cristiana, la sua concezione sul ruolo provvidenziale del cristianesimo per avvicinare le genti al monoteismo, nella divisione dei compiti tra la conservazione ebraica della purezza monoteistica e la militante diffusione cristiana, fino a quando, trionfando su tutti gli errori, gli stessi cristiani, deposta la «fede in Gesù», abbracciassero la «fede in Gesù». Il rabbino di Mantova anticipava, con ciò, precisamente la formula di Salom Ben Horin nel dialogo ebraico cristiano. Un altro giornale evangelico, L’Eco della verità, si inserì frattanto nella discussione, osservando che le tesi di Mortara, chiaramente delineate, erano quanto mai rappresentative di un moderno ebraismo ridotto ad un «deismo scolorito e scarno», immensamente distante dai «sacri libri», ma gli dava ragione quanto all’irrilevanza della riunificazione di Israele dal punto di vista cristiano. A quest’ultimo punto reagiva, ne La Vedetta Cristiana del 1 agosto 1871, Giuseppe Callegari, ribadendo l’attesa millenaristica della riunione del popolo ebraico per la sua finale conversione.
da Materia giudaica. Rivista dell’Associazione italiana per lo studio del giudaismo (2010-2011) pp. 153-157
Art. tratto da Notizie su Israele del 25 marzo 2015