Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici, scusatemi se torno sulla sgradevole faccenda della celebrazione papale del dittatore dell’Autorità Palestinese Mahmud Abbas. Non lo faccio per tornare sul tormentone se Francesco abbia detto “sei un angelo di pace” oppure “che tu sia un angelo di pace” a una persona che si è laureata con una tesi negazionista sulla Shoà, che ancora viene ripubblicata come libro nei territori da lui dominati, si è fatto una fama all’interno della sua organizzazione organizzando la strage degli atleti israeliani a Monaco e il dirottamento della nave Achille Lauro dove fu vilmente ammazzato a sangue freddo un vecchio in sedia a rotelle, Leon Klinghoffer, solo perché ebreo ed è diventato dittatore in quanto braccio destro di Arafat durante la terribile ondata terrorista del 2000-2002; il capo di un regime corrotto, che non smette di esaltare qualunque forma di terrorismo sia fatta contro gli ebrei e Israele (per fare un esempio recente, leggete qui: http://www.focusonisrael.org/2014/11/03/abu-mazen-scrive-alla-famiglia-del-terrorista-elogiandolo-per-il-suo-lavoro-e-questo-sarebbe-un-interlocutore-per-una-pace-duratura-e-stabile/) e di pagar loro, se catturati, lauti stipendi, fra l’altro pagati con fondi europei, dunque con le nostre tasse. In fondo non fa differenza. Difficilmente qualcuno, anche un papa particolarmente pio, potrebbe augurare a me che ho una certa età, di vincere la maratona alle olimpiadi; o potrebbe auspicare che Cicciolina mantenesse intatta la sua verginità. C’è un limite anche alle speranze ragionevoli. Né vi voglio tediare con la risposta del Vaticano alle critiche di parte israeliana (“Francesco non voleva offendere nessuno”: http://www.jpost.com/Christian-News/Vatican-says-Pope-meant-no-offense-calling-Abbas-angel-of-peace-403543). Il problema non è l’offesa, ma la presa di posizione politica, in definitiva la legittimazione della guerra, direttamente terrorista o diplomatico/giuridica, non importa, che Mahmud Abbas sta guidando contro Israele, raccogliendo interesse e solidarietà – questo è molto significativo – in Europa e nell’Amministrazione Obama, non nei paesi arabi che ormai ignorano quasi sempre la sua azione. Ciò su cui voglio richiamare la vostra attenzione, che non è stato sottolineato abbastanza anche se circola su Internet è un dettaglio precedente al gesto del papa. La settimana scorsa è stato annunciato che Francesco avrebbe proclamato la santità di quattro donne, una francese, una italiana e due “palestinesi”. Trovate qui, nella cautissima agenzia Ansa, la traccia di questa classificazione nazionale: http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2015/05/17/il-papa-fa-sante-4-donne-due-suore-della-palestina-una-italiana-e-una-francese-_5401bb40-b340-4996-9e36-d05509a2eaee.html. Non mi permetto naturalmente di discutere la santità delle due suore in questione, solo la loro nazionalità. Se guardate la biografia nella nota Ansa, trovate che una, Marie Alphonsine Danil Ghattas, è nata a Gerusalemme nel 1843; l’altra Mariam Baouardy nel 1846 a Ibillin in Galilea (o forse a Nazaret, ho trovato fonti contraddittorie). Ora negli anni ’40 dell’Ottocento, nessuno aveva sentito ancora parlare di “palestinesi” nel senso di arabi della regione e non l’avrebbe sentito ancora per 120 anni; si trattava di territori dell’Impero ottomano dipendenti dal capoluogo regionale di Damasco (Siria). Era il momento in cui i viaggiatori occidentali riportavano la notizia di un territorio semidesertico, vuoto di popolazione e desolato (http://www.eretzyisroel.org/~peters/depopulated.html), in cui però la maggioranza relativa della popolazione di Gerusalemme era già ebraica (http://ziontruth.blogspot.it/2005/08/jerusalems-population-throughout-19th.html). Oggi poi Gerusalemme, la capitale di Israele, e Ibillin (un paese che si trova a una dozzina di chilometri da Haifa e da Acco: http://en.wikipedia.org/wiki/I’billin), sono entrambe in territorio israeliano, come del resto Nazaret. Bisognerebbe dunque dire che le due sante non sono affatto palestinesi, ma arabo-israeliane. O piuttosto, considerando che i cristiani locali non possono essersi convertiti durante i secoli dell’occupazione islamica (sarebbero stati immediatamente uccisi per questo), si tratta di discendenti degli abitanti della regione precedenti all’invasione araba, che qualcuno ha proposto di ritornare a chiamare col loro nome antico di aramei (http://www.algemeiner.com/2013/10/04/%E2%80%8Bchristians-in-israel-declare-renewed-identity-and-bonds-to-jewish-state/). Che c’entra questa identità araba-cristiana-israeliana o aramea israeliana con Mahmud Abbas e le bandiere della Palestina? Nulla, naturalmente. O meglio, può c’entrare per un dettaglio significativo. Mariam Baouardy rimasta orfana, a dodici anni fu portata ad Alessandria d’Egitto. Qui tentarono di farla convertire all’Islam e di farla sposare e un musulmano: a dodici anni. Lei resistette, fu soggetta a un tentativo di stupro e anche ferita gravemente e lasciata per morta sulla strada. Scappò, fece la serva ad Alessandria, Beirut e poi Gerusalemme prima di trovare la strada di un convento (http://www.the-american-interest.com/2015/05/19/the-popes-deeper-meaning-on-palestine/). Insomma, l’episodio decisivo della sua vita è stata la resistenza a un tentativo di convertirla con la violenza e di trasformarla nella schiava sessuale di un pedofilo. Questa è la sorte che hanno subito per secoli e secoli cristiani ed ebrei per mano dei dominatori arabi e che ancora è praticata non solo dall’Isis, ma un po’ dappertutto nel mondo islamico. Quando si parla di calo demografico della popolazione cristiana in Medio Oriente, bisogna tenere in conto anche violenze come questa. Se la vita di un santo significa qualcosa, qualla di Mariam Baouardy parla della resistenza di una ragazza alla violenza sessuale e religiosa di una società che non aveva il minimo rispetto per la sua identità (non parliamo della sua libertà). Ora, quel che vuole (non quel che dice, ma quel che fa) l’Autorità Palestinese non diversamente da Hamas è l’arabizzazione forzata e l’islamizzazione altrettanto forzata del territorio di Israele, la pulizia etnica di tutti gli estranei (prima gli ebrei, ma poi anche i cristiani, come si vede nei fatti). Un’adolescente cristiana orfana e sola avrebbe oggi nei territori dominati da Abbas e soci la stessa sorte di Mariam – non certo in Israele dove sarebbe difesa e tutelata. Per questo nei paesi arabi i cristiani stanno scomparendo, mentre la popolazione cristiana di Israele cresce e si sviluppa. Definire “palestinese” Mariam è un atto di ipocrisia, un insulto alla verità e alla sua memoria. E’ anche il tentativo implicito di legittimare la dittatura di Abbas e la pulizia etnica che cerca di attuare. Per quali motivi il Vaticano abbia diffuso notizie così sbagliate, e abbia anzi organizzato la partecipazione “palestinese” a questa celebrazione, lo lascio immaginare a voi. Certamente facendolo non ha offeso tanto Israele, quanto la verità e la memoria di Mariam.
(art. tratto da informazionecorretta)