Analisi di Ugo Volli

Al momento in cui scrivo, poco dopo la metà di gennaio, sembra che l’ondata di “terrorismo a bassa intensità” che è cresciuta fra il Capodanno ebraico e quello civile facendo una trentina di vittime in tre mesi, sia in fase di stallo. Ancora micidiale quando colpisce, priva di ogni umanità, ma meno frequente in un certo senso residuale. Del resto la “resistenza popolare”, come nell’Autorità Palestinese e fra i diplomatici europei chiamano questa forma di terrorismo poco tecnologico fatto con coltelli sassi e automobili, dura ormai da un paio d’anni ma non ha prodotto risultati significativi neppure dal punto di vista dei terroristi. Non è riuscita a spaventare gli israeliani, non ha provocato né nuova simpatia né nuova centralità per la causa palestinese, non ha ottenuto neppure di diventare un tema dominante per i media, soffocata da conflitti molto più gravi e sanguinosi come quelli provocati dallo Stato Islamico in Siria Iraq, Libia, Nigeria. Ha provocato molte più morti arabe che israeliane, ha rafforzato la convinzione dell’elettorato di Israele che non si possa venire a patti con chi vuole accoltellarti solo perché sei ebreo, se la prende coi vecchi, con le donne e i bambini, minaccia le case, le fermate degli autobus, i centri commerciali, le sinagoghe tanto dentro la “linea verde” che in Giudea e Samaria. Insomma, un disastro politico e militare, sanguinoso e orribile, privo di ogni senso, anche per i criminali.

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