Sabato 2 aprile. Venezia. Nuvoloso.
Parto da casa non con grandi aspettative. Lo faccio sempre con la speranza che il Signore mi stupisca. Arrivo a Mestre, attendo Marina che è venuta apposta dalla Liguria per la giornata di lode e adorazione. La nostra piccola combriccola chiaccherando, guardando le vetrine e “slalomando” tra i turisti, arriva all’imbarco a San Zaccaria. Quale sarà la nostra barca? Quali saranno di queste persone che aspettano i nostri compagni di crociera? Quella bella ragazza bionda con la messa in piega a boccoli? Quello alto e muscoloso che sembra una body guard? Nooo.
Mi guardo in giro ma non vedo nessuna faccia “russa”. All’una i morsi della fame cominciano a farsi sentire. Finalmente all’orizzonte ecco arrivare la Bellini, la nostra barca. Dal nulla spunta Lidia Gaiduk (ma dov’era??) con il suo bel tailleur bianco e un grande sorriso. Ci accoglie a braccia aperte e ci parla (finalmente) in italiano. “Raffaellaaa, Marinaaaa”. Non me l’aspettavo. Bell’accoglienza. Ecco che si avvicinano anche la bella ragazza con la messa in piega perfetta e il tipo muscoloso…(mi sa che devo rivedere i miei standard estetico-evangelici).
All’interno già ci attendeva l’intera “Corazzata Basana”…(imbarcati al Tronchetto con la maggior parte dei partecipanti); da Padova con furore: Ivan, Andie, Giovanni, Mariarosa, Noemi, Giada, Marisa e naturalmente Alex, Silvia e la piccola Shir.
Organizzati meglio del generale Patton durante il D-Day abbiamo avanzato spediti verso la parte sinistra della nave, occupandone la maggior parte con le nostre vettovaglie. A differenza di altri incontri dove prima si prega e poi “se magna”…o meglio si fa agape fraterna… durante queste crociere si inizia con il pranzo a sacco, condividendo con i vicini… quasi sempre dei fratelli mai vista prima… il che rende ancora più divertente nonchè avventurosa, l’intera giornata.
Avete mai provato a preparare panini, apparecchiare e condividere del cibo tra un tavolo e un altro, facendo le presentazioni…mentre il mare vi culla continuamente? Dalla salsa tonnata alla carta igienica, dal pane alla segale alle salviettine umidificate dai nostri zaini non mancava proprio nulla. Meglio di Mary Poppins. Andie anche in mezzo al deserto dalla sua borsa sa far apparire un pranzo per sei persone. Ho imparato da lei. Una marine evangelica. (“Improvvisare, adattarsi e raggiungere lo scopo” è uno dei loro slogan).
Forti dell’esperienza dell’ultima crociera ci siamo organizzati come se non ci dovesse essere un domani. Abbiamo condiviso il pranzo anche con l’equipaggio. Stranamente un intero equipaggio vegetariano. Dopo aver preparato il ventesimo panino, e introdotto abbastanza zuccheri per far girare a pieno ritmo il cervello, finalmente mi son potuta guardare intorno. (Tralascio le descrizioni di Venezia e della nostra Laguna. Non ne sono all’altezza. Venite a vederla di persona.) D
elle bellissime ragazze con chignon e abbaglianti sorrisi a trentadue denti si aggiravano aggraziate come gazzelle nella savana affollata di tavoli, zaini e persone. Subito dopo mi son ritrovata in coperta con gli altri che si erano già seduti ai lati e l’intero corpo di ballo “Magnificat” al centro della nave… che vi assicuro non era certo grande come un palco… eppure queste ragazze con i tre ballerini (circa 15 persone in tutto) hanno danzato come se fossero stati al Metropolitan… benchè sopra di loro fossero tesi diversi cavi… son riusciti a fare tutte le” prese”, i “pas à deux” e varie acrobazie senza mai sbagliare, senza mai nessun tentennamento come se avessero provato e riprovato su quella barca da mesi. Ma quello che ha aperto gli occhi del mio cuore alla lode e all’adorazione non è stata la loro bellezza e prestanza fisica, nè la perfezione e la grazia dei loro movimenti, la musica coinvolgente o lo spettacolo in sè… ma i loro visi…i loro cuori. Hanno ballato anche con le loro facce e le loro anime.
Quando danzavano Gesù morente, morivano. Quando ballavano il tentativo di lapidazione dell’adultera, soffrivano. Quando coreografavano Gesù risorto, gioivano. Ogni loro passo, ogni loro smorfia, ogni sorriso, ogni loro contrazione muscolare erano una continua lode a Dio. Non stavano facendo spettacolo ma VIVEVANO l’adorazione. Appena qualcuno di loro si fermava per far posto ad altri ballerini, continuavano dalle “quinte” a cantare, a lodare… senza mai fermarsi veramente. Il balletto era suddiviso in varie parti… da Genesi alla Resurrezione di Cristo… il tutto tecnicamente davvero ben eseguito… ma nessuna scuola può dare quello che avevano loro: occhi luminosi, un cuore grande, e l’incredibile dolcezza che mostravano in ogni loro gesto e parola. Alla fine ognuno di loro ha reso una piccola testimonianza di quello che Gesù aveva fatto nelle loro vite. Diretti, sintetici, veri. Straordinari nella loro semplicità.
Dopo il balletto, Nico Battaglia ci ha portati con la sua musica sulle ali della lode. Dato che il corpo di ballo era quasi interamente formato da ragazze americane… abbiamo cantato sia in italiano che in inglese. Russi, italiani, ungheresi, sudafricani, Cechi e scusate se ho dimenticato qualcuno… tutti insieme (e mi sembra giusto aggiungere anche appassionatamente) a lodare nostro Signore Gesù Cristo. “Da ogni lingua, tribù e nazione…” La parte che preferisco sempre è quando lo Spirito ci invita a pregare gli uni per gli altri. Benedici persone che, forse, non vedrai mai più perchè il Signore ti ha compunto tanto che se non lo fai ti sembra che il cuore possa balzare fuori dal petto e tuffarsi in acqua. Soffri della sofferenza che senti nel cuore del fratello. Ringrazi delle lacrime di gioia che vedi sgorgare dagli occhi di tua sorella. Gioisci della gioia che riconosci nei visi di chi ti sta di fronte. Stupisci della Grandezza. Assapori la Grazia. E il tempo non lo senti scorrere, tre ore sono come tre minuti. Alle 16.30 eravamo di nuovo a San Zaccaria.
Al ritorno ci siamo fermati in Ghetto. Tappa tanto obbligatoria quanto mai gradita, soprattutto ora che ricorrono i 500 anni dalla sua nascita. Un luogo quasi senza tempo. Molto rassicurante. Mi dà pace ogni volta che ci passo. Qui ci siamo arenati, è il caso di dirlo… proprio arenati… su una panchina di pietra guardando i bambini ebreo-ortodossi con le loro camicie bianche e i quasi riccioli spuntare timidi ai lati della testa; giocare con gli altri ragazzini del quartiere dotati di moderni monopattini, in perfetta armonia. I nostri zaini, alleggeriti, ma non vuoti han trasformato la panchina in un salotto e la sosta è diventata un “Teino-Pasticcino”. Ho preso il mio termos di te africano al miele di mandarino e una scatola di pasticcini e li abbiamo condivisi con due persone che abitano in ghetto ascoltando i loro pettegolezzi sulle nuove famiglie che son venute ad abitarci e facendo due chiacchere in compagnia come se ci conoscessimo da molto.
Son tornata a casa stanca ma soddisfatta. Anche questa volta il Signore è riuscito a sorprendermi.
Raffaella Fabris
P.S.: una menzione speciale per questa lunga giornata la merita la piccola Shir. Tre anni di boccoli biondi e tanta dolcezza. Non ha mai pianto, non si è mai lamentata. Non ha fatto un capriccio. |Ha sempre camminato…e a Venezia di strada se ne deve fare molta. Ha ballato con il ballerino-coreografo del gruppo, ha dormito in braccio alla mamma con la musica a tutto volume… ha mangiato tutto quello che le abbiamo messo nel piatto…della serie:”Piccole marine evangeliche crescono”