Il Giornale, 24 marzo 2017
La tragedia di Londra ha costretto a uscire almeno momentaneamente dal solito bozzolo di eufemismi e bugie. Sì, è terrorismo;sì, è islamico; sì è una tabe contro la quale è l’ora di svegliarsi perché i combattenti dell’Isis tornano a un certo punto alla casa che li ha nutriti, e là diventano lupi solitari, o indottrinano altri perché lo diventino. Fin qui ci siamo. Dove l’analisi diventa invece monca e quindi inutile è quando si tratta di capire fino in fondo dove è nato e si è sviluppato fino a diventare globale questo terrorismo delle auto lanciate contro i passanti innocenti, dei coltelli sguainati e subito intrisi di sangue di donne e bambini… Perché questo, anche se si opera su una censura orribile, è successo non solo in tutte le città elencate in ogni telegiornale che si rispetti, che ha dedicato ore, giustamente, all’evento di Londra, e su tutti i quotidiani in cui l’elenco non manca, e di tutto ci si duole: Parigi, Bruxelles, Berlino, NIzza…
E’ successo di nuovo e di nuovo, e là è stato inventato, a Gerusalemme, e la censura ha qualcosa di davvero perverso se si pensa che gli attacchi con veicoli nella capitale di Israele e altre città sono stati 55 dall’inizio di questa Intifada nel settembre 2015, e 171 quelli col coltello, 620 complessivi. L’ultimo qualcuno se n’è dimenticato?
Era contro una gita di soldati di leva, ragazzi e ragazze di 18 anni sul marciapiede di fronte al panorama di Gerusalemme: il camion ha ucciso quattro ragazzi e ne ha feriti 20, poi è andato a marcia avanti e indietro sui loro corpi… Era un attacco terroristico? O no?
E perché nessuno lo cita con cordoglio come gli altri attentati? C’è chi sostiene che gli attentati in Israele non siano come quelli che avvengono altrove: non sarebbero islamisti, ma dettati da richieste territoriali.
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