Analisi di Ugo Volli
Per chiunque si occupi un po’ di politica, una cosa è evidente: siamo immersi in un momento di grande cambiamento. Realtà che sembravano solide al di là di qualunque dubbio, come l’Unione Europea, hanno subito dei colpi gravi e appaiono incerte. In molti sistemi politici le forze tradizionali che si alternavano al potere hanno perso parte della loro influenza e sono costrette ad allearsi per conservare insieme il potere o a lasciare il posto di comando ad altre formazioni politiche. Personaggi nuovi, molto lontani dai volti noti, si affacciano alla ribalta e ottengono consenso. Può piacere o meno, ma la svolta appare chiara, paragonabile per dimensioni alla crisi di trent’anni fa che mise fine al socialismo reale nell’Europa dell’Est. Il suo senso certamente è più complesso di quella rivolta pacifica dei popoli contro il comunismo, ma non è impossibile darne una lettura complessiva. Sotto la spinta dell’immigrazione islamica, del terrorismo, della crisi economica, la sintesi “progressista” di centrosinistra e di una parte del centrodestra che aveva retto l’Occidente con alcune parentesi da allora, o forse dall’altra crisi degli anni Sessanta, si è infranta o radicalizzata nella contrapposizione fra forze più chiaramente di destra e di sinistra. Entrambe le due nuove ali sono fortemente polemiche nei confronti delle politiche precedenti; ma fra le due nei paesi più importanti prevale la radicalizzazione di destra, che vuole l’allentamento dei vincoli internazionali, la fine dell’immigrazione irregolare, la riaffermazione dell’interesse e della cultura nazionale. L’aspetto più significativo di questa svolta consiste nel fatto che la grande maggioranza del sistema politico (cioè dei membri dei parlamenti e dei partiti più importanti), dei media, degli intellettuali, della magistratura restano attaccati al vecchio sistema. La svolta è stata realizzata dagli elettori usando le occasioni di voto e i candidati disponibili per rifiutare la politica precedente. Questa caratteristica “di base” ha fatto parlare dei nuovi soggetti politici come “forze populiste”; ma in realtà almeno nella fase nascente del cambiamento, prima che le organizzazioni si siano consolidate in una nuova configurazione, non contano i partiti ma una tensione che attraversa l’elettorato e prende come veicolo l’offerta politica che si presenta.
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