Alzando lo sguardo su per le grandi pietre mistiche del Muro del Pianto è possibile guardare l’orizzonte del futuro; mettendo un bigliettino con un desiderio in una delle fessure, si attiva la linea diretta col Padreterno. Così ieri il presidente Usa c’è andato, cambiando la storia mediorientale e forse quindi quella del mondo intero. Perché ogni tanto il gioco cambia di colpo, e il cambiamento è imperscrutabile: i vincitori vengono messi nell’angolo, i cattivi vengono chiamati col loro nome, le bugie vengono alla luce… non è detto che tutto questo accadrà fino in fondo, fino a una conclusione positiva, ma in questi giorni col viaggio di Trump in Medio Oriente si sta rovesciando la solita «narrazione», il senso comune che ha fatto sbagliare tutte le mosse a Obama: Israele come una fonte permanente di pericolo da contenere in Medio Oriente e nel mondo; il terrorismo come un fenomeno delimitato che non deve dettare mosse di eccessivo allarme; e invece Trump a Riad ha richiesto ai sunniti un esercito arabo unito e agguerrito che restituisca al mondo musulmano l’onore di essere una religione e non una immensa setta violenta, «buttando fuori» i terroristi.

Ancora più importante, finisce la scommessa perdente di Obama sul regime degli ayatollah, mentre lo si vede per quello che è: un Paese fanatico, imperialista e integralista, sostenitore del terrorismo internazionale, devoto alla distruzione di Israele. Così è una scelta strategica fondamentale quella di ieri per cui Trump è andato al Muro del Pianto. Per la prima volta nella storia un presidente americano si è avventurato fin là, nella prima visita all’estero e a soli quattro mesi dall’elezione. E vero, molti guai lo inseguono, ma questo non c’entra col dichiararsi «un sostenitore entusiasta di Israele» come ha fatto ieri.

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