Scambiereste le Tombe dei Patriarchi con le Mura della Serenissima?”. La domanda è un filino provocatoria, ma la risposta, evidentemente, deve essere un sì. Altrimenti, come spiegare il fatto che gran parte del mondo mediatico-culturale italiano (ministro Franceschini in testa) sorvoli sulla deriva antistorica e antisemita dell’Unesco, per celebrare invece con tanta enfasi l’iscrizione di un nuovo sito del Bel Paese nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità? Un grande successo, ci viene detto, che dimostra (parole del ministro) “il ruolo notevole dell’Italia nella diplomazia culturale”. Ma davvero serve una così grande abilità diplomatica perché l’Unesco aggiunga ogni tanto un nostro sito alla sua lista? E soprattutto: se abbiamo davvero un ruolo diplomatico così notevole, perché non provare a esercitarlo nel tentativo, non più rinviabile, di ricondurre l’Unesco al rispetto dei suoi valori fondanti? Che senso ha battersi per inserire nuovi siti nella lista di una istituzione che rinnega il concetto stesso di patrimonio culturale mondiale (concetto intrinsecamente pluralista e laicamente fondato sul valore della storia come ricerca) e si fa strumento delle mire egemoniche di una tradizione culturale sulle altre? Perché di questo si tratta.

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