Una casa del villaggio di Halamish non lontano da Ramallah e da Gerusalemme, completamente inondata di sangue. Il pavimento della cucina così rosso che non si distingue il colore del pavimento; quattro corpi crivellati di colpi di coltello, come se una tigre avesse compiuto la sua caccia: sono tre persone della stessa famiglia, il padre intorno a sessanta anni, un uomo e una donna, suoi figli, sui quaranta. La madre agonizza ma verrà salvata dai soccorsi, e ancora mentre scriviamo, all’ospedale di Sharei Tzedek non sa del destino dei suoi cari. Erano una decina di persone a tavola, per la santa cena di Shabbat. Ma niente può essere santo di quello che riguarda gli ebrei quando ad attaccare sono terroristi islamici. Una delle figlie è riuscita a rifugiarsi in una stanza delle casa con i bambini, da là ha chiamato aiuto al telefono e ha urlato dalle finestre “C’è un terrorista in casa”. Un giovane militare in licenza è corso sul luogo e dalla finestra è riuscito con la sua arma a ferire il terrorista, Omar Abed di 19 anni del villaggio vicino di Kaubar. E’ stato ferito e portato all’ospedale e alla polizia. Alle domande ha risposto ripetendo quello che aveva scritto, riassumendone il testo, nel suo messaggio di addio: “Difendo la Moschea di Al Aqsa, l’onore musulmano. Ho solo un coltello con cui rispondere alla chiamata di Al Aqsa… Avete cominciato una guerra con noi per cui Allah vi giudicherà. Spero che dopo di me verranno uomini che vi abbatteranno con pugno di ferro. Avevo speranze e progetti, ma adesso per difendere Al Aqsa vado e non tornerò”.
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