Editoriale di Maurizio Molinari, l’eccelsa ironia di Andrea Marcenaro
Con il discorso della Casa Bianca il presidente Donald Trump ha illustrato per la prima volta il suo approccio al Medio Oriente, articolandolo in tre punti: il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico, la soluzione del conflitto israelo-palestinese con due Stati divisi da confini concordati, il ruolo prioritario dell’Arabia Saudita nel superamento della crisi secolare arabo-israeliana. Si tratta di tre tasselli che hanno genesi diverse ma descrivono la scommessa dell’inquilino dello Studio Ovale. Il riconoscimento di Gerusalemme capitale è una scelta bilaterale, compiuta dagli Stati Uniti che in questa maniera assicurano a Israele quanto più considera vitale: la propria identità ebraica. Il legame fra gli ebrei e Gerusalemme risale a tremila anni fa e se Israele dal 1949 ne ha fatto la propria capitale è perché è il luogo che più rappresenta il ritorno alle radici dopo venti secoli di Diaspora. Così come Harry Truman 70 anni fa fu il presidente americano che riconobbe la nascita di Israele, oggi Trump ne riconosce l’identità ebraica, ovvero la legittimità storica. Non si tratta solo del rispetto di un impegno preso da Trump con i propri elettori durante la campagna elettorale, e neanche solo della pragmatica presa d’atto della presenza delle istituzioni israeliane a Gerusalemme, c’è qualcosa in più: l’America fa sapere ad Israele, ed ai suoi cittadini, di comprendere e condividere il legame storico fra lo Stato ebraico, il popolo ebraico e la terra d’Israele. E’ una scelta che ha a che vedere con valori bipartisan, largamente condivisi nella società americana, ma ha anche un risvolto politico-negoziale assai evidente: nel momento in cui Trump assicura a Benjamin Netanyahu ciò che per lui più conta, pone le condizioni per avanzare delle richieste inerenti alla soluzione del conflitto. Per questo nella seconda parte del discorso della «Diplomatic Reception Room», Trump afferma di condividere la soluzione dei due Stati e sottolinea che i confini fra loro dovranno essere decisi «consensualmente fra le parti», anche per quanto riguarda Gerusalemme. Ovvero, nulla preclude che i quartieri orientali della città sacra alle tre fedi monoteistiche potranno diventare la capitale del futuro Stato di Palestina.
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