22/12/2017

Il viaggio di studio in Israele dello scorso novembre si è svolto serenamente, fra visite e incontri. Molti studenti hanno documentato il viaggio con immagini e riflessioni personali. Vi invitiamo a vedere qui il bel video realizzato da Matteo Cattadori e, sotto, a osservare le fotografie di Pietro Furbatto e a leggere i testi scritti da altri due studenti di Torino, Davide Ferri e Joao Matteo Rampone. Non abbiamo perso l’occasione di perdere l’occasione Abba Eban non penso si offenderà se prenderò in prestito e modificherò “leggermente” la sua citazione per poter descrivere al meglio questa settimana in Israele. Non è stato un viaggio, non è stata una gita, non è stato un viaggio d’istruzione, è stata l’Occasione per poter entrare in un paese in punta di piedi, facendosi accogliere da una nazione che penso si contraddistingua in primis per il suo senso di appartenenza, che ha evidentemente radici storiche, risalenti, a mio parere, almeno ai tempi della distruzione di Masada, quando gli eroi della roccaforte sul Mar Morto, tanto ambita dai Romani per potersi proteggere dal nemico più grande, i Parti, decisero di suicidarsi dopo aver difeso fino allo strenuo delle forze la loro città, pur di non subire l’umiliazione di consegnarsi direttamente nelle mani dei Romani; tale senso di appartenenza è altrettanto visibile nel ruolo dell’esercito, un elemento fondamentale nel processo di crescita di un giovane israeliano ma allo stesso tempo un momento fortemente desiderato, per iniziare una vita di autonomia e più di tutto per entrare a pieno titolo nella storia del suo paese.

È stata l’Occasione di conoscere in prima persona la realtà del kibbutz che ha forgiato buona parte dell’attuale classe dirigente israeliana e che con la sua politica di impronta socialista ha permesso a Israele di affermarsi sul campo mondiale dell’economia, della scienza, dell’agricoltura. È stata l’Occasione per vivere Gerusalemme, città in cui non appena ci si gira si incontra una cultura religiosa differente: lo Shabbat, il giorno sacro della religione ebraica, vissuto con una intensità tale dalla comunità che la città sembra fermarsi, rispettando l’interruzione da ogni attività creativa; il Santo Sepolcro, luogo in cui Gesù fu seppellito e risorse dopo tre giorni, luogo in cui si può percepire il significato profondo della religione cristiana (stesso discorso vale per il Monte delle Beatitudini, Cafarnao, il Monte degli Ulivi); la Spianata delle Moschee e il mercato arabo, la grande cupola dorata che avvolge il luogo da cui Maometto partì per il suo viaggio sulla Luna e i profumi speziati che pervadono le strade non fanno che rimandare l’uomo in un mondo orientale. È stata l’Occasione per rendersi conto di come sia possibile unire due culture così diverse come quella ebraica e quella araba in un Israele ricca di contraddizioni sotto questo aspetto: è successo alla scuola bilingue di Gerusalemme, dove studiano ragazzi di entrambe le culture con professori sia arabi che ebrei e dove quelli che imparano non sono solo i giovani ma anche le famiglie (emblematica la testimonianza di una studentessa che ha raccontato di come suo padre, arabo, sia entrato per la prima volta in una casa ebrea proprio dopo che sua figlia iniziò a frequentare questa scuola): chi non vede progressi di questo tipo e non li attua in altre parti del mondo è dotato di un evidente paraocchi.

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