Il Giornale, 15 novembre 2015
Il Ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman, origine sovietica, abitante degli insediamenti, difensore sincero dei diritti umani laici, capo del partito Israel Beitenu, è un duro. Non ha mai pensato che con i palestinesi e tantomeno con Hamas una pace sia possibile. E ha sempre desiderato fare qualcosa che mettesse in seria difficoltà il suo mentore e premier Benjamin Netanyahu. Stavolta potrebbe costringerlo alle elezioni. Ieri si è dimesso mentre ancora echeggiavano nell’aria gli ultimi boati e scoppi della quasi guerra con Hamas. Una guerra dolorosa, con distruzioni, morti e feriti nelle città e nei kibbutz del sud, la gente terrorizzata, le sirene in continua attività per la ininterrotta sequenza di bombardamenti di Hamas sulla popolazione seguita dalle reazioni dell’esercito che hanno bombardato le strutture di Hamas a Gaza. Lieberman ha detto che la risposta di Israele è stata inconsistente, che il governo è incapace di promettere un futuro diverso alla gente che “si vergogna ormai di guardare negli occhi”; il governo, insomma, “si è arreso al terrorismo di Hamas”, e ha elencato due episodi. Il primo: il fatto che sia stato consentito che venerdì scorso passassero nelle mani di Hamas i 15 milioni di dollari che il Qatar gli ha regalato; in secondo luogo, la decisione di accettare con una riunione di gabinetto tormentosa (è durata sei ore ed è finita senza un voto) la tregua con Hamas di cui l’Egitto è stato mallevadore. Nelle ore della scelta di Lieberman a Gaza si svolgevano celebrazioni trionfalistiche con spari e distribuzione di dolci mentre i capi dell’organizzazione terroristica si vantavano di aver vinto la guerra e distrutto il governo israeliano. Intanto nelle strade del sud di Israele, coi campi bruciati dagli aquiloni infuocati, i confini assaliti da decine di migliaia di palestinesi, la vita civile destrutturata, la gente riversava per protestare contro la decisione di accettare la tregua senza cercare una soluzione che blocchi Hamas.
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