Nel 2015 Maurizio Molinari pubblicò ben due libri, «Jihad. Guerra all’Occidente» (Rizzoli, Milano) e «Il Califfato del terrore. Perché lo Stato islamico minaccia l’Occidente» (Rizzoli, Milano). Adesso il direttore de La Stampa dedica il suo nuovo libro allo stesso argomento («Assedio all’Occidente», La nave di Teseo, Milano 2019), ma i soggetti sono completamente cambiati, come suggerisce lo stesso sottotitolo: «Leader, strategie e pericoli della seconda guerra mondiale». Il «califfo» Al Baghdadi è stato eliminato, lo «Stato islamico» può ancora dare qualche colpo di coda, ma non costituisce più un pericolo globale,come si temeva qualche anno fa. Adesso l’«assedio all’Occidente» viene da altre direzioni, viene dall’accendersi di quella «seconda guerra fredda» che vede protagonisti Cina, Russia, Turchia, Iran, Corea del Nord, che, in maniera diversa, “assediano” l’Occidente.
La seconda guerra fredda differisce dalla prima per alcune ragioni sostanziali, ma le due «guerre» hanno un aspetto in comune. Nella guerra fredda che ebbe luogo dal 1946 al 1989 due schieramenti si fronteggiavano con chiarezza. Una chiarezza ideologica, politica, economica, culturale: da una parte lo schieramento occidentale, con gli Stati Uniti come potenza egemone, ma con essi tutti i Paesi dell’Europa occidentale, uniti nel Patto Atlantico, alleanza militare ma al tempo stesso anche politica e ideologica. Dall’altra parte l’Unione Sovietica, con i Paesi satelliti europei, uniti nel Patto di Varsavia che aveva nel Comecon la sua versione economica. E’ vero che con la conferenza di Bandung del 1955 cominciò a profilarsi il fronte dei Paesi non allineati ma in realtà, fuori d’Europa, l’allineamento con uno dei due schieramenti che si fronteggiavano nel vecchio continente era inevitabile. La Cina comunista poteva sembrare un’eccezione ma la rivalità con Mosca non attenuò, almeno fino a un certo momento, la sua ostilità verso l’Occidente, mentre Vietnam, Cambogia, Laos, Cuba finivano uno dopo l’altro nell’orbita di Mosca. D’altra parte il resto del mondo, con in testa i Paesi della Magna Europa – come è stata chiamata – Canada, Australia, Nuova Zelanda, erano saldamente a fianco dell’Alleanza atlantica (il Canada ne faceva direttamente parte), e lo stesso si può dire dei paesi dell’America latina, indipendentemente dalle loro crisi interne e con l’eccezione di Cuba. Infine il processo di decolonizzazione portò l’Africa subsahariana a essere dal 1960 oggetto della contesa tra Occidente e Oriente, ma ciò confermava appunto la divisione del mondo in due blocchi contrapposti.
Lo scenario attuale disegnato da Molinari è totalmente diverso: l’assedio all’Occidente non è portato da uno schieramento omogeneo ma da una pluralità di Stati, che hanno anche motivi di rivalità tra di loro ma che sono uniti nella contrapposizione politica, ideologica e infine anche militare al mondo occidentale. Molinari individua dunque cinque potenza che «assediano” l’Occidente: Russia, Cina, Turchia, Iran, Corea del Nord. Il grado di pericolosità di ciascuna di queste potenze è naturalmente assai diversificato ma tutte mirano a mettere in
discussione e, possibilmente, a distruggere quel sistema che è al tempo stesso valoriale, politico ed economico su cui si fonda l’Occidente a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale.
L’analisi di Molinari entra in maniera approfondita nel merito delle caratteristiche di ciascuna di queste potenze, un’analisi che non può essere riassunta e che va seguita con attenzione nelle pagine del libro, ma si può dire che non trascura alcuna di quelle che sono le «armi» di cui ciascuna potenza si può valere, da quelle più tradizionali, come gli armamenti atomici e convenzionali, a quelle più innovative, come la cibernetica, la robotica, l’uso dell’intelligenza artificiale. Abbiamo detto che, se le differenze tra la prima e la seconda guerra fredda sono evidenti, tuttavia esiste un elemento comune. Questo elemento comune è costituito dal fatto che, di nuovo, l’Occidente è chiamato a difendere quei valori di libertà e di tutela dei diritti umani che costituiscono l’essenza stessa della sua identità, e che gli altri Paesi non garantiscono.
A questo tema sono dedicati gli ultimi tre capitoli del libro, che analizzano rispettivamente le debolezze degli Stati Uniti, dell’Europa e dell’Italia, la loro incapacità, talvolta, di porsi l’obiettivo di difendere i propri tratti identitari fondamentali, la fragilità dei propri sistemi politici e dello stesso quadro sociale. Ma proprio nell’ultimo capitolo («L’arsenale dei diritti») Molinari individua gli strumenti per rovesciare le debolezze in punti di forza e per consentire all’Occidente di continuare a difendere e ad estendere il sistema di valori che finora l’hanno caratterizzato. È in particolare nelle diseguaglianze che Molinari individua uno dei maggiori punti di debolezza dell’Occidente e che hanno provocato l’emergere al proprio interno di partiti populisti e sovranisti che mettono in discussione il sistema di valori che lo ha finora caratterizzato.
È quindi un «patto contro le diseguaglianze» quello che Molinari propone, seguendo in questo il politologo americano Francis Fukuyama: «Un’ampia convergenza fra stati e imprese tesa a creare formazione, innovazione e lavoro sfidando i tabù di un sistema economico ancora imprigionato nelle regole del Novecento, e dunque incapace di perseguire una ricetta di giustizia economica che, per definizione, non può essere realizzata solo tenendo presenti i parametri del PIL».

Valentino Baldacci