Riceviamo, e volentieri segnaliamo, da Valentino Baldacci dell’Associazione Italia Israele di Firenze
Qualche giorno fa un quotidiano milanese ha pubblicato i risultati di una ricerca americana sull’antisemitismo nel mondo, dalla quale emergono dati interessanti sui quali torneremo. Il quotidiano, tuttavia, ha nel titolo focalizzato l’attenzione su quanto rilevato in Italia, dove in cinque anni gli antisemiti sarebbero passati dal 29 al 18% dei cittadini, il che autorizzerebbe a parlare, sempre secondo questo quotidiano, di “crollo dell’antisemitismo”.
Credo che si possano legittimamente avanzare dei dubbi su queste conclusioni. Non sulla serietà della ricerca, ma sulla metodologia usata, almeno per quello che emerge dai risultati presentati. Che cosa significa infatti che una persona è “antisemita”? L’antisemitismo è qualcosa che non è facilmente misurabile come la temperatura del corpo umano: non si può mettere nello stesso calderone il neonazista incallito e colui che una volta si è detto infastidito dal troppo frequente riferimento alla memoria della Shoah. Questo infatti sarebbe, secondo la ricerca, uno dei parametri per giudicare il grado di antisemitismo. Continua a leggere su Moked